"Non è senza motivo che Charles Baudelaire abbia scritto nei Journaux intimes: 'De Maistre ed Edgar Poe mi hanno insegnato a ragionare', o che Giacomo Noventa non esitasse a citare frequentemente lo scrittore savoiardo, infrangendo quella censura occulta che vieta di rammentare certi autori proibiti se non deformandoli in una maschera grottesca. La sprezzatura maistriana, che affiora dal suo stile colloquiale e paradossale, non può non attirare coloro che alla dialettica dell'illuminismo si sottraggono con disinvoltura aristocratica, divenendo agli occhi dei contemporanei esempi imperdonabili di una rara libertà di giudizio..." (Alfredo Cattabiani)
De Maistre ci mostra l’altra faccia della luna, quella che non vediamo con i nostri ragionamenti corretti. I Cinque paradossi – dedicati al duello, alle donne, al gioco, al bello, ai libri – furono scritti nel 1795, in un anno che lo trova intento a comporre altri pamphlets: Jean-Claude Têtu, Bienfaits de la révolution française; subito dopo l’incompiuto Studio sulla sovranità (che è del 1794), prima delle anonime Considerazioni sulla Francia (escono nel 1796). Ma i Cinque paradossi, al di là della fascinosa scrittura e dell’ironia che li permea, sono una presentazione accattivante delle idee di de Maistre: infatti, il paradosso - andando contro l'opinione comune - è il suo strumento di conoscenza. Anche se ci sentiamo distanti e riteniamo che talune sue osservazioni abbiano soltanto sostegni nel passato, merita di essere riletto. L’attualità è nella sua intelligenza, ancora viva, sorprendente; la sua prosa ci insegna a sbugiardare, a demolire, a ridere ma anche – e soprattutto – a non perdere mai di vista i riferimenti fondamentali. De Maistre è l’inattuale più raffinato della filosofia moderna e nella sua ricerca dei principi è un contemporaneo. Le domande che si pone sulla società ci interessano, o cominciano a interessarci.