«Io vorrei isolare il momento in cui ho visto la crepa e ho preso atto della fine, ma non lo trovo, perché non c'è. L'amore è discreto nel morire, non si lamenta e non fa scenate, non c'informa quando si ammala. Siamo noi a risponderne, e tutto quello che gli capita è colpa nostra». Fosco e Alice si sono amati tanto. E tra poco, senza sapere bene perché, si diranno addio. Per questo, nel vortice di parole più o meno giuste o più o meno sbagliate, abbracci notturni, porte sbattute, avvocati nuovi di zecca e antiche recriminazioni, decidono di raccontare la loro storia a modo loro. Con ostinazione, dolore e persino ironia: tutto quello che nei documenti legali non potrà mai trovare spazio. Diego De Silva lascia riposare il suo personaggio più amato, l'«avvocato d'insuccesso» Vincenzo Malinconico, per consegnarci un grande romanzo sulla fine dell'amore. «L'amore non è una storia, ma due». Per questo Fosco e Alice hanno affidato ai loro rispettivi avvocati le parole che non sanno dirsi, lasciandosi. Alice aspira a una conclusione drammatica, come se un grande amore si misurasse dalle ferite, dal male che è possibile farsi. Vuole enfasi, conflitto, palcoscenico. Fosco è più morbido, quasi passivo, incline ad accettare qualsiasi condizione. E alla fine, come in tutte le separazioni, le loro posizioni si tradurranno in documenti mortificanti, che nulla dicono perché nulla sanno di una vita insieme. Che riassumono il dolore, e anche la gioia, in parole povere. Per riscrivere con una dignità diversa i titoli di coda della loro storia, decidono allora di ritirarsi in una casa amata, tra i fantasmi dal passato e di ciò che è stato tradito, che siano gli anni felici dell'infanzia, quel tempo bello in cui s'impara il mondo, gli amici di sempre o il loro stesso legame. Trovarsi lì, in quella casa, significa anche cercare un fuoco comune: il loro fuoco. Significa attraversare in due i rimpianti fino a esaurire la sofferenza, estrarre dalle macerie del tempo ciò che rimane vivo e trovare la forza di andare addosso alle cose, persino quando fanno paura. Senza rinunciare all'ironia che lo contraddistingue, come modo di illuminare ciò che conta, Diego De Silva riesce a raccontare con forza, attraverso le voci di Fosco e Alice, le speranze, le delusioni, le felicità sepolte, il complicato groviglio di sentimenti che accompagnano da sempre la fine di un amore.
Vincenzo Malinconico è tornato ed è alle prese con un'ingiusta causa. D'amore. Già, c'è di mezzo l'amore anche stavolta, ma un tipo d'amore con cui Malinconico non ha avuto ancora a che fare, professionalmente parlando: l'amore impantanato, quello di chi pensa di avere diritto a un risarcimento per il dolore. Perché è proprio questo che gli chiedono gli Impantanati, sei donne e due uomini uniti in una strampalata associazione: di intentare una causa epocale per danni da sinistri sentimentali. E l'assurdo può sembrare a tratti possibile, al più eccentrico avvocato d'insuccesso di sempre. Sono anni, e tanti libri, che le parole di Malinconico ci risuonano in testa. Qualche volta abbiamo persino seguito i suoi consigli non richiesti. Ed eccolo di nuovo qui, fedele nel ridersi addosso un attimo dopo aver detto una cosa che sembrava quasi vera. L'amore può ingolfare una vita, metterla in attesa, in balia degli anni che passano. Tutti conosciamo coppie sfinite da rapporti senza futuro: amori dove i progetti, i desideri e persino i diritti ristagnano. A volte è proprio il legame, il problema. I rapporti di forza, il tempo sul groppone, il presente che dà dipendenza. Poi capita che una mattina la parte debole si svegli e decida che è venuto il momento di fare i conti. È quello che succede nella sesta avventura di Vincenzo Malinconico, l'avvocato delle cause perse ancor prima d'essere discusse, quando Veronica, la sua compagna, gli manda in studio una coppia di amici che gli chiedono d'intentare, con una class action, una causa epocale per l'infelicità di coppia. La pretesa dei due, apparentemente demenziale (ma Malinconico è avvezzo a questo genere di situazioni), si basa su un assunto neanche così sbagliato: se esiste un diritto privato, perché la sfera privata dei sentimenti non dovrebbe andare soggetta alla stessa legge che regola i rapporti patrimoniali? Fosse per Malinconico la chiuderebbe lì, anche perché ha altro di cui occuparsi (Alagia che sta per farlo diventare nonno, Alfredo in fibrillazione per il suo primo cortometraggio, uno strano figuro che lo pedina), ma finisce per cedere alle insistenze del suo socio Benny e si ritrova a partecipare con lui agli incontri degli Impantanati. E noi lo sappiamo bene: quando Malinconico si fa trascinare in una situazione che gli sta stretta, sbrocca ma riesce persino a divertirsi. Sicuramente a farci divertire come non mai, in questo che è uno dei romanzi più mossi e vivi di Diego De Silva. Fra risate, battibecchi, colpi di scena e ordinarie drammaturgie familiari, Malinconico riuscirà ad articolare una stralunata difesa. Ma di se stesso, soprattutto.
Se non vi è mai successo di nascondere in casa una ragazza in mutande appena fuggita da una retata in un bordello al quarto piano del vostro palazzo, non siete il tipo di persona a cui capitano queste cose. Vincenzo Malinconico lo è. Dovrebbe sapere che corre un rischio bello serio, visto che è avvocato, e invece la fa entrare e poi racconta pure un sacco di balle al carabiniere che la inseguiva e va a bussargli alla porta. È così che inizia "I valori che contano (avrei preferito non scoprirli)", il romanzo in cui Malinconico - avvocato di gemito, più che di grido - oltre a patrocinare la fuggiasca in mutande (che poi scopriremo essere figlia del sindaco, con una serie di complicazioni piuttosto vertiginose), dovrà affrontare la malattia che lo travolgerà all'improvviso, obbligandolo a familiarizzare con medici e terapie e scatenandogli un'iperproduzione di filosofeggiamenti gratuiti - addirittura sensati, direbbe chi va a cena con lui - sul valore della pena di vivere. Un vortice di pensieri da cui uscirà, al solito, semi-guarito, semi-vincente e semi-felice, ricomponendo intorno a sé quell'assetto ordinariamente precario che fa di lui, con tutti i suoi difetti e le sue inettitudini, una persona che sa farsi voler bene, pur essendo (o forse proprio perché è) un uomo così così.
Due adulti sposati (non tra loro) si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie. Viviana è sexy, vitale e intrigante, e ha un notevole talento per i discorsi intorcinati. Modesto è meno chic, ma abilissimo nell'autoassoluzione. Moderatamente vigliacco, aspirerebbe alla prosecuzione a tempo indeterminato della doppia vita piuttosto che a un secondo matrimonio, visto che già il suo non è che gli piaccia granché. Ma Viviana, nella crucialità del dilemma, trascina Modesto dall'analista, alla ricerca di una possibilità di salvezza per il loro rapporto ormai esasperato da lacerazioni continue. Un romanzo a due voci, maschile e femminile, che si alternano a raccontare la loro storia mentre la vivono e ci trascinano in un'immersione nelle complicazioni dei sentimenti, nei conflitti che apriamo continuamente per la paura di affidarci all'amore e dargli mandato a cambiarci la vita.
Due adulti sposati (non tra loro) che si ritrovano uniti da una passione incontrollabile e da un amore coriaceo, particolarmente resistente alle intemperie. Viviana è sexy, vitale e intrigante, e ha un notevole talento per i discorsi intorcinati. È combattuta fra restare amante e alleviare cosi le infelicità matrimoniali o sfasciarsi la vita per investire in un'altra. Modesto è meno chic, decisamente più sboccato e sbrigativo nella formulazione dei concetti, ma abilissimo nell'autoassoluzione. Spara battute a sproposito per svicolare, e fa pure ridere. Moderatamente vigliacco, aspirerebbe alla prosecuzione a tempo indeterminato della doppia vita piuttosto che a un secondo matrimonio, visto che già il suo non è che gli piaccia granché. È nella crucialità del dilemma che Viviana trascina Modesto dall'analista, cercando una possibilità di salvezza per il loro rapporto ormai esasperato da conflitti e lacerazioni continue. Il dottore è spiazzato nel trovarsi di fronte una coppia non ufficiale, libera da vincoli matrimoniali e familiari, che non ha nulla da perdere al di là del proprio amore. Accetterà l'incarico per questa ragione, trovandosi nel mezzo di una schermaglia drammatica e ridicola insieme, e rischiando di perdere la lucidità professionale.
Semi-disoccupato, semi-divorziato, semi-felice. C'è solo una cosa che Vincenzo Malinconico sa fare al cento per cento: filosofeggiare. Mentre cammina per le strade di Napoli, mentre si ritrova con i colleghi che come lui non hanno nessuna voglia di lavorare, mentre entra nello studio di uno psicoterapeuta di cui si sente più medico che paziente, mentre assiste a un tragicomico reality in un supermercato, Vincenzo ha sempre un pensiero in testa. Anzi, una miriade di pensieri che lievitano e che, di deriva in deriva, vanno lontano, passando dall'amore alla giustizia, dal senso della vita a Sharon Stone, dai becchini al frigorifero che la sua nuova ragazza continua a riempirgli, fino alle canzoni di Raffaella Carrà. E proprio mentre seguiamo il filo dei suoi pensieri stravaganti e fuori luogo e i suoi tentativi di analisi fai-da-te, ci accorgiamo che De Silva con questa raccolta ("Non avevo capito niente", "Mia suocera beve" e "Sono contrario alle emozioni"), non ci racconta soltanto le vicende tragicomiche di un avvocato anomalo ma ci porta in giro per un mondo e una società incomprensibili, e che Vincenzo Malinconico è la lente da cui guardare, lo strumento per capire dove stiamo andando.
Cosa accade quando Vincenzo Malinconico, re dei rimuginatori, si perde definitivamente nel rimuginio? Se sei uno che prende sul serio i pensieri, che fa continuamente bilanci su quello che fa, anche mentre lo fa, ti basta un niente per lanciarti nelle domande più peregrine, quali: le emozioni che proviamo nell'ascoltare le canzoni che amiamo sono vere? Proviamo davvero quello che sentiamo? Cos'è quel piccolo freddo che ci assale dopo aver visto un film che ci ha commosso il cuore e il cervello? E da dove nasce il desiderio improvviso di prendersi un cane? E perché davanti a una notizia di malasanità ci monta dentro un'indignazione democratica, anche se l'ultima volta che siamo scesi in piazza è stato per aggiungere un grattino alla macchina? Nei tentativi di analisi amorose fai-da-te per ricomporre il senso di una storia finita, nelle recensioni estemporanee di brani, eventi, persone, nella ricerca vaga di un centro di gravita - anche se non è permanente va bene lo stesso -, le riflessioni prendono corpo in un libro agile dove la scrittura si palesa al lettore in una delle sue versioni più artigianali ed efficaci: quella di strumento per capire come la pensiamo sulle cose.
Diego De Silva fa un passo a lato, si allontana dalle irresistibili vicende di Vincenzo Malinconico e ci regala una semplice storia d'amore. Semplice per modo di dire, perché la scommessa è tutta qui: nel nascondere la profondità in superficie, nel tratteggiare desideri e dolori, speranze e rovine, con poche parole essenziali, dritte e soprattutto vere. Perché, come diceva Fanny Ardant ne La signora della porta accanto, solo i racconti scarni e le canzoni dicono la verità sull'amore: quanto fa male, quanto fa bene. Solo lí si cela l'assoluto. Cosí De Silva prende i suoi due personaggi e li osserva con pazienza, li pedina, chiedendoci di seguirlo - e di seguirli - senza fare domande.
La perfetta storia d'amore di due persone che si sfiorano senza incontrarsi mai.
Nicola e Irene sono fatti l'uno per l'altra, ma non lo sanno. Probabilmente se ne accorgerebbero, se s'incrociassero anche solo una volta. Non dovrebbe essere difficile, visto che frequentano regolarmente lo stesso bistrot...
Irene vuole essere felice, e quando il suo matrimonio inizia a zoppicare se ne va. Nicola è solo, confusamente addolorato dalla morte di una donna che aveva smesso di amare da tempo. Anche lui, come Irene, è mosso da un'assoluta urgenza di felicità. Anche lui vuole un amore e sa esattamente come vuole che sia fatto.
Sarebbero destinati a una grande storia, se solo s'incontrassero una volta nel bistrot che frequentano entrambi. Ma il caso vuole che ogni volta che Nicola arriva, Irene sia appena andata via.
Se le vite di Nicola e Irene non s'incontrano fino alla fine, le loro teste invece s'incontrano furiosamente nelle pagine di questo libro: i pensieri, le derive, il sentire - quell'impasto inconfondibile di toni alti e bassi, riflessivi e comici - si richiamano di continuo, sono ponti gettati verso il nulla o verso l'altro. Forse, verso l'attimo imprevisto in cui la felicità finalmente abbocca: perché se lo lasci passare, quell'attimo, te ne vai con la curiosa ma lucida impressione d'esserti appena giocato la vita.
Cosa accade quando Vincenzo Malinconico, re dei rimuginatori, si perde definitivamente nel rimuginio? Se sei uno che prende sul serio i pensieri, che fa continuamente bilanci su quello che fa, anche mentre lo fa, ti basta un niente per lanciarti nelle domande più peregrine, quali: le emozioni che proviamo nell'ascoltare le canzoni che amiamo sono vere? Proviamo davvero quello che sentiamo? Cos'è quel piccolo freddo che ci assale dopo aver visto un film che ci ha commosso il cuore e il cervello? E da dove nasce il desiderio improvviso di prendersi un cane? E perché davanti a una notizia di malasanità ci monta dentro un'indignazione democratica, anche se l'ultima volta che siamo scesi in piazza è stato per aggiungere un grattino alla macchina? Nei tentativi di analisi amorose fai-da-te per ricomporre il senso di una storia finita, nelle recensioni estemporanee di brani, eventi, persone, nella ricerca vaga di un centro di gravita - anche se non è permanente va bene lo stesso -, le riflessioni prendono corpo in un libro agile dove la scrittura si palesa al lettore in una delle sue versioni più artigianali ed efficaci: quella di strumento per capire come la pensiamo sulle cose.
Torna il mitico avvocato d’insuccesso Vincenzo Malinconico, filosofo da garage e tragicomica icona della precarietà da liberi professionisti, liberi solo di essere disoccupati. Questa volta, alle prese con un sequestro di persona ripreso in diretta dalle telecamere di un supermercato. Ad averlo studiato ed eseguito è il mite ingegnere informatico che ha progettato il sistema di video sorveglianza. Sequestrato è un capomafia, che l’ingegnere considera responsabile della morte accidentale del suo unico figlio. Il piano è d’impressionante efficacia: all’arrivo delle telecamere della televisione, l’ingegnere intende raccontare il suo dramma e processare in diretta il boss. La scena del sequestro diventa così il set di un tragicomico reality, con la folla e le forze dell’ordine all’esterno del supermercato che assistono impotenti allo «spettacolo». La sola speranza d’impedire la tragedia è affidata, guarda caso, all’avvocato Vincenzo Malinconico, che l’ingegnere incontra casualmente nel supermercato e «nomina» difensore d’ufficio del boss nell’improvvisato processo. Malinconico, con la sua proverbiale irrisolutezza, il suo naturale senso del ridicolo, la sua insopprimibile tendenza a rimuginare, uscire fuori tema, trovare il comico nel tragico, il suo riepilogare e riscrivere gli eventi recenti della sua vita privata (la crisi sentimentale con Alessandra Persiano, le incomprensioni della sua ex moglie e dei due figli, l’improvvisa diagnosi di leucemia della sua ex suocera), riuscirà a sabotare il piano dell’ingegnere e forse anche quel gran casino che è la sua vita.