"Bibbia pagana" è la mitologia in forma di romanzo. Invece di sviluppare il racconto attraverso tante storie indipendenti una dall'altra e che hanno per protagonisti una volta Zeus, un'altra Afrodite o Ulisse, Giorgio Dell'Arti si cimenta in un'impresa mai tentata prima da nessuno: assemblare in un vero romanzo - che ha un inizio, uno sviluppo e una fine - i vari miti. Il risultato è un racconto forte, scritto in un linguaggio completamente nuovo per la letteratura italiana, popolare e colto insieme, e una narrazione incontenibile, complessa ma anche immediata come tutti i miti, piena di luci e colori, che descrive una società primitiva, selvaggia e bellicosa, in cui gli dèi e gli uomini si mescolano tra di loro, combattendo e facendo l'amore. Si comincia in un'epoca lontanissima, in cui non sono ancora stati scoperti né il grano né il vino, e in cui si praticano ancora i sacrifici umani nella convinzione che il sangue delle vittime sia utile per fertilizzare i campi. E si finisce in una notte di 3500 anni fa, quando Elena e Paride, di nascosto, fuggono dal palazzo di re Menelao.
"...quanto al modo in cui prendemmo lo Stato, i kosovari si presentarono alla Camera dei Deputati e, condotti dai commessi in precedenza comprati dal rag. Dominicis, entrarono facilmente nello studio dell'onorevole Fini, sorprendendolo mentre chino sulla scrivania leggeva qualcosa. Gli spiccarono il capo dal busto e, posata la testa su una poltrona, senza ulteriori disordini, chiesero di essere guidati, attraverso il passaggio segreto, fino a Palazzo Madama..." Una scrittura cruda, didascalica, ragioneristica, distante. E anche nostalgica, piena di grazia e dettagli. Una scrittura che cozza e fa scintille per descrivere la catastrofe italiana partendo da una soluzione finale. Un'operazione pulp contro le caste e contro noi stessi, che ha tutta l'aria di essere, nello stesso tempo, impossibile e inevitabile.
Uno dei più noti e apprezzati giornalisti italiani - firma fissa di giornali come «La Stampa», «La Gazzetta dello Sport», «Il Foglio», «Vanity Fair», «Io Donna» - lancia la nuova collana di Edizioni Clichy, «les petits éléphants», libri piccoli nel prezzo e nel formato ma grandi nei temi e nei contenuti.
Diamo inizio a questa avventura con un «instant book» su Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco, il pontefice venuto da un altro mondo, che quasi solo apparendo ha lanciato una rivoluzione forse inarrestabile nella Chiesa mondiale e, a catena, in tutti gli altri ambiti politici e culturali.
È possibile, nella società opulenta in cui vive l'Occidente, pretendere una Chiesa povera e che si rivolga soprattutto ai poveri e agli ultimi? È possibile ribaltare i cerimoniali, i riti, gli orpelli scardinando la nostra stessa idea di che cos'è un Papa? Con i suoi primi gesti, con le sue prime parole, papa Francesco ci ha detto che non solo possiamo, ma che dobbiamo imboccare questa strada. Come fecero, a suo tempo, papa Giovanni XXIII e papa Luciani.
In questo libro da leggere tutto d'un fiato, l'uomo venuto da lontano viene raccontato, secondo lo stile di Dell'Arti, per frammenti, frasi, decine di dettagli che ricostruiscono l'uomo e coloro che lo hanno eletto, il Conclave e le basiliche, le lotte e gli slanci, fino al calcio, al tango, e alla scandalosa sobrietà con cui Bergoglio ha condotto e intende continuare a condurre la sua vita. Un libro da leggere in un'ora, per capire Francesco e intravedere la mèta verso cui vuole condurci, un orizzonte
di carità, di speranza, di pace.
Questo libro nasce dalla volontà di restituire il senso della vicenda umana e politica di un uomo molto citato, ma pochissimo conosciuto, e oggi tirato in ballo da più parti senza ritegno. Sotto forma di dialogo, Giorgio Dell'Arti ripercorre la vita del geniale e visionario primo ministro di Casa Savoia portandone alla luce gli aspetti più curiosi e meno noti. La diplomazia, l'arte di governo, ma anche i vizi, gli amori, gli affari e l'atmosfera della società dell'Ottocento. In filigrana un ritratto dell'Italia, in bianco e nero, ma ancora attualissimo. Soprattutto, a emergere è la vocazione patriottica di Cavour, il filo rosso che attraversa tutta la sua vita, da rileggere in questi tempi in cui - scrive Dell'Arti - "è bene rendersi conto che si può essere italiani e avere senso dello stato".