Prendendo le mosse dal concetto di iterabilità, collegandolo alle moderne tecnologie e alle questioni etiche che ci impongono, in quest'intervista del 2001, Derrida attraversa molti nodi problematici della sua filosofia - la traccia, il resto, la rimanenza, il supplemento, il fallogocentrismo e la sua necessaria decostruzione, la distinzione tra différence e différance e quella tra oralità e scritturala - e della sua biografia - il controverso rapporto con la sua ebraicità, la "difesa" di De Man e il "caso" che ne è seguito, le sue posizioni riguardo al "nazismo" di Heidegger - producendo un intreccio molto interessante tra vita e pensiero, filosofia e biografia, che troverà nella letteratura un suo grande punto di forza e una felice sintesi.
L'opera che ha inaugurato la decostruzione. Un classico della filosofia contemporanea
«Durante gli anni che seguirono, circa dal 1963 al 1968, cercai di dare forma - in particolare nei tre lavori pubblicati nel 1967 - a ciò che non doveva in alcun modo essere un sistema, ma una specie di dispositivo strategico aperto sul suo proprio abisso, un insieme non chiuso, non chiudibile e non totalmente formalizzabile di regole di lettura, d’interpretazione, di scrittura...». Così confessa Derrida; gli anni a cui egli si riferisce sono quelli dominati dallo strutturalismo e dalle indagini sulla natura del segno, sullo statuto del testo, sul rapporto tra linguaggio e potere. Con i tre volumi ricordati La voce e il fenomeno, Della grammatologia (trad. it. Jaca Book, 1968 e 1969) e La scrittura e la differenza (trad. it. Einaudi, 1971), il filosofo intervenne in questo dibattito cercando di individuare, all’interno di un sistema che finisce sempre per concepirsi come chiuso e autosufficiente, le tracce di quelle contaminazioni che, più che distruggerlo, lo decostruiscono e così facendo anche lo aprono e lo sollecitano verso una scena - in verità la stessa all’interno della quale ogni esperienza umana fin da principio drammaticamente si muove - che non è mai stata e mai potrà essere concepita come una mera struttura. In queste pagine, attraverso un confronto serrato con la fenomenologia di Husserl, le ragioni di una simile sollecitazione sono individuate con un’originalità e un rigore tali da rendere La voce e il fenomeno un classico della filosofia contemporanea.
Il termine "decostruzione", solitamente associato all'opera di Jacques Derrida, è forse uno dei più equivocati della filosofia del Novecento, e sembra ancora lontano il tempo in cui si giungerà a una piena comprensione di quanto abbia prodotto e produca ben al di là delle semplificanti formule a cui lo si è spesso ridotto. In questo secondo volume di "Psyché. Invenzioni dell'altro" è possibile verificare in che senso la decostruzione non è né un'analisi né una critica tecnicamente intese come scomposizioni padroneggiabili, ma un esercizio del pensiero che si produce come lettura esigente e rigorosa, capace di svelare le domande e le genealogie insospettate o nascoste che hanno strutturato e legittimato la tradizione filosofica occidentale. I saggi qui radunati - inaugurati dall'ormai famosa (ma non per questo conosciuta) "Lettera a un amico giapponese" - interrogano Heidegger, Kant, Michel de Certeau e attraversano campi del sapere quali l'architettura, la storia, la teologia, il diritto e la politica, imponendo a ciascuno la radicale presa in carico dei non sempre dichiarati o consapevoli moventi epistemologici, politici, culturali che innervano i loro gesti e le loro procedure.
Come noto, Jacques Derrida dedicò gran parte della propria vita all’insegnamento: prima alla Sorbona, poi, per una ventina d’anni, presso l’École normale supérieure di rue d’Ulm e infine, dal 1984 alla morte, presso l’École des hautes études en sciences sociales, oltre che in molte università nel mondo (regolarmente negli Stati Uniti). Presto aperto al pubblico, il suo seminario richiamò un uditorio vasto e plurinazionale. Nonostante molti dei suoi libri prendano spunto dal lavoro che conduceva, questo rimane una parte originale e inedita della sua opera. Con il presente volume inauguriamo quindi una vasta impresa: la pubblicazione di questi seminari. A partire dal 1991, presso l’EHESS, con il titolo generale di Questions de responsabilité, affrontò le questioni del segreto, della testimonianza, dell’ostilità e dell’ospitalità, dello spergiuro e del perdono, della pena di morte. Infine, dal 2001 al 2003, tenne quella che doveva essere non la conclusione, ma l’ultima tappa di questo seminario, che prese il titolo di La bête et le souverain. Ne pubblichiamo qui la prima parte: l’anno 2001-2002. In questo seminario Jacques Derrida affronta, per dirla con parole sue, una ricerca sulla «sovranità», «la storia politica e onto-teologica del suo concetto e delle sue figure», ricerca presente da molto tempo in molti dei suoi libri, in particolare in Spectres de Marx (1993), Politiques de l’amitié (1994) e Voyous (2003). Questa ricerca sulla sovranità incrocia un altro grande motivo della sua riflessione: il trattamento, sia teorico che pratico, dell’animale, di ciò che, in nome di un «proprio dell’uomo» sempre più problematico, viene chiamato abusivamente, al singolare generale, «animale», sin dall’alba della filosofia e ancora ai giorni nostri. Partendo dalla celebre favola di La Fontaine, Il lupo e l’agnello, nella quale confluisce una lunga tradizione di pensiero sui rapporti tra forza e diritto, tra forza e giustizia, a monte e a valle, in una minuziosa analisi dei testi di Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Schmitt, Lacan, Deleuze, Valéry o Celan, Derida tenta «una sorta di tassonomia delle figure animali del politico» e della sovranità, esplorando così le logiche che ora determinano la sottomissione della bestia (e del vivente) alla sovranità politica, ora svelano una sconcertante analogia tra la bestia e il sovrano, così come tra il sovrano e Dio, che condividono una posizione in qualche modo esterna rispetto alla "legge" e al "diritto".
Uno tra i principali filosofi contemporanei si cimenta con il testo biblico del sacrificio di Isacco e affronta il tema della responsabilità della persona, del suo fondamento esistenziale, in rapporto con saperi e etiche costituiti.
Este ensayo trata sobre las relaciones entre el derecho y la justicia, pero también entre el poder, la autoridad y la violencia. La justicia no se agota nunca en las representaciones y las instituciones jurídicas que intentan ajustarse a ella. Lo justo trasciende siempre lo jurídico, pero no hay justicia que no "deba" inscribirse en un derecho, en un sistema y en una historia de la legalidad, en la política y en el Estado. No quita que, a su vez, el derecho prime sobre la fuerza; éste es su deber, no hay derecho que no implique por sí mismo su aplicación, una técnica y, en consecuencia, la posibilidad de la guerra. Lo recuerda Kant: no hay derecho sin coacción. Lo que pretende tener "fuerza de ley" inscribe así la apelación a la fuerza en el concepto mismo de su autoridad. El riesgo de tiranía acecha ya desde el origen de la ley. Recuperando una expresión de Montaigne, Pascal hablaba de un «fundamento místico» de la autoridad: «aquel que lleva a ésta a su principio, la aniquila». Y esta aniquilación se puede llevar por vías múltiples. De lo que se trata aquí es de analizar esa multiplicidad. La primera parte de este texto, “Del derecho a la justicia”, fue leída en la apertura de un coloquio organizado por Drucilla Cornell en la Cardozo Law School en octubre de 1989 bajo el título “Deconstruction and the Possibility of Justice”, que reunió a filósofos, teóricos de la literatura y juristas (en particular, pertenecientes al movimiento denominado “Critical Legal Studies”). La segunda parte del texto, “Nombre de pila de Benjamin”, no fue pronunciada en dicho coloquio pero su texto fue distribuido entre los participantes.
Recitano i dizionari che la parola occasione porta dentro di sé un rimando al caso, all'accidente, a ciò che è fortuito, ma simile connotazione, spesso giudicata negativamente, mette in ombra quanto si lega costitutivamente all'occasione: l'incontro. I saggi raccolti nel primo volume di "Psyché. Invenzioni dell'altro", sono stati raccolti e ordinati da Jacques Derrida proprio intorno all'idea che l'altro, in qualunque modo lo si incontri, è sempre occasione di un incontro in cui percorsi e pensieri, domande e sollecitazioni si raccolgono nell'unità di un'esigenza insieme fondante e ambigua: giocare fino in fondo e senza protezioni la questione della verità.
Testimonianza di una nobile e sincera amicizia, il libro è il generoso omaggio di un grande filosofo a un filosofo più giovane che da principio ne ha seguito le tracce, per imporsi poi con un’opera originale. Omaggio filosofico, ovviamente: per quanto non manchino pagine intensamente affettuose che conferiscono un caldo colorito alle ricorrenti riflessioni sull’amicizia, il volume è dedicato a una lettura del pensiero di Jean-Luc Nancy (ben noto anche in Italia), considerato sotto una particolare angolazione, la questione del tatto, in tutti i significati che la parola ha assunto nella cultura occidentale, da quello erotico a quello religioso, da quello gnoseologico a quello etico. In un serrato dialogo con una tradizione che muove dall’antichità, ma con particolare attenzione a quella che Derrida chiama una linea filosofica «franco-tedesca», il libro, pur incentrato su Nancy, ne mette a confronto la scrittura con le tesi classiche in numerose digressioni che muovono da Aristotele per toccare Descartes e S. Giovanni della Croce, il Nuovo Testamento e Kant, il problema di Molineux e Maine de Biran, Husserl e Merleau-Ponty, Lévinas e Heidegger. Derrida tuttavia non elabora un trattato, e meno che mai si preoccupa di tracciare un capitolo della storia della filosofia occidentale, ma, secondo lo stile che caratterizza la sua splendida maturità, affida a un scrittura straordinariamente affascinante, benché non facile, il compito di cercare «nel solco di Heidegger, la specificità di un pensiero che non si riduca né alla poesia, né alla filosofia né alla scienza».
Accompagnato dai lavori di Simon Hantai
GLI AUTORI
JACQUES DERRIDA nasce il 15 luglio 1930 a El Biar, nei pressi di Algeri. Ha insegnato prevalentemente a Parigi e negli Stati Uniti, e ha ottenuto lauree e dottorati honoris causa in molte Università presenti nel mondo. Riconosciuto come uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, ha prodotto lavori che sono stati tradotti in una decina di lingue e che sono stati oggetto di convegni e incontri in Francia, Italia, Germania, Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone. Muore a Parigi il 9 ottobre 2004.
El nombre de Derrida está estrechamente vinculado al término deconstrucción, idea que propugna la disolución de fronteras estrictas entre filosofía y literatura. Se convierte así en una estrategia de lectura, en un mecanismo textual por encima del autor y del texto.
Se non sapessimo fare elenchi non potremmo ordinare il mondo, conoscere la Natura, il passato e il presente, contare, fare delle scelte. Ma se dovessimo fare elenchi completi la gente si addormenterebbe, i discorsi si farebbero infiniti e noiosi. La mente umana ha inventato un piccolo marchingno, che consiste, fatte le prime considerazioni, nel dire "e così via, eccetera". In questo libro il filosofo Derrida si diverte a spiegare quanto è stato importante, per il pensiero filosofico di tutti i tempi, avere a disposizione questa congiunzione.