Il male è comune, capillare, "umile", si insinua dappertutto, cambia aspetto nelle sue continue metamorfosi. Vuole essere allettante, sapendo di correre il rischio della illiceità. Questa triste verità devono aver trovato i prigionieri, in prossimità dei cancelli dei campi di concentramento, come ad Auschwitz, dopo lunghi viaggi sui vagoni piombati che li avrebbe accompagnati alla morte. Ma lo si nota pure negli ultimi giorni della guerra mondiale, quando i nazisti, sapendo dell'arrivo dei liberatori, si affrettarono a cancellare i segni della violenza dei lager, facendo saltare in aria le camere a gas e i forni crematori. Non si dovevano lasciare le tracce troppo compromettenti dei crimini commessi, L'operazione di rimozione era stata meditata da tempo. Il male tocca l'abisso poiché può contare su una buona dose di ignoranza e di prepotenza. Tutto ciò è voluto perfidamente. Il male è questo continuo, e seducente, allontanarsi dall'umano, che deve essere - e può essere - combattuto dal rispetto per l'altro, dalla riduzione del proprio egoismo a vantaggio dell'espansione amichevole e fraterna fra gli esseri umani.
Gli autori di questo breve saggio hanno pensato di approfondire un aspetto a prima vista minoritario della vasta letteratura di Walter Benjamin (1892-1940), il frammento Kapitalismus als Religion del 1921, che negli ultimi anni ha suscitato però un vasto dibattito tra i suoi studiosi. Si tratta di poche pagine, dense, per certi aspetti criptiche, che presentano una tesi originale. Il capitalismo è a tutti gli effetti l'equivalente di una religione; anche se vi mancano i tratti delle fedi tradizionali, si fa interprete del disagio umano provato di fronte a una imprevedibile metamorfosi dell'essere sociale, da cui emerge il senso inquietante della colpa che non prevede espiazione. Della religione eredita le angosce, i turbamenti, gli incubi diurni e notturni, ma non riesce ad usufruire di quei conforti che essa promette invano.