Non esiste un'età senza paura. Siamo fragili sempre, da genitori e da figli, quando bisogna ricostruire e quando non si sa nemmeno dove gettare le fondamenta. Ma c'è un momento preciso, quando ci buttiamo nel mondo, in cui siamo esposti e nudi, e il mondo non ci deve ferire. Per questo Lucia, che una notte di trent'anni fa si è salvata per un caso, adesso scruta con spavento il silenzio di sua figlia. Quella notte al Dente del Lupo c'erano tutti. I pastori dell'Appennino, i proprietari del campeggio, i cacciatori, i carabinieri. Tutti, tranne tre ragazze che non c'erano più. Amanda prende per un soffio uno degli ultimi treni e torna a casa, in quel paese vicino a Pescara da cui era scappata di corsa. A sua madre basta uno sguardo per capire che qualcosa in lei si è spento: i primi tempi a Milano aveva le luci della città negli occhi, ora sembra che desideri soltanto scomparire, si chiude in camera e non parla quasi. Lucia vorrebbe tenerla al riparo da tutto, anche a costo di soffocarla, ma c'è un segreto che non può nasconderle. Sotto il Dente del Lupo, su un terreno che appartiene alla loro famiglia e adesso fa gola agli speculatori edilizi, si vedono ancora i resti di un campeggio dove tanti anni prima è successo un fatto terribile. A volte il tempo decide di tornare indietro: sotto a quella montagna che Lucia ha sempre cercato di dimenticare, tra i pascoli e i boschi della sua età fragile, tutti i fili si tendono. Stretta fra il vecchio padre così radicato nella terra e questa figlia più cocciuta di lui, Lucia capisce che c'è una forza che la attraversa. Forse la nostra unica eredità sono le ferite. Con la sua scrittura scabra, vibratile e profonda, capace di farci sentire il peso di un'occhiata e il suono di una domanda senza risposta, Donatella Di Pietrantonio tocca in questo romanzo una tensione tutta nuova.
È il momento più buio della notte, quello che precede l'alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po', e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella più scomoda, o troppo amara. Così tutt'a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande. Entrando nell'appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel matrimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa. Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte interminabile di viaggio - in cui mettere insieme i ricordi -, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È lì, in quel microcosmo così impenetrabile eppure così accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos'è realmente successo, e forse fare pace col passato.
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con "L'Arminuta" fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
Ritrovarsi alle prese con un adolescente taciturno e spigoloso che è quasi uno sconosciuto, inventarsi madre quando quell'idea era già stata abbandonata da tempo. È ciò che succede a Caterina, la protagonista di Bella mia, quando Olivia, la sorella gemella che sembrava predestinata alla fortuna, rimane vittima del terremoto dell'Aquila, nella lunga notte del 6 aprile 2009, lasciando il figlio Marco semiorfano. Il padre musicista vive a Roma e non sa come occuparsene, perciò tocca a Caterina e alla madre anziana prendersi cura del ragazzo, mentre ciascuno di loro cerca di dare forma a un lutto che li schiaccia. Ma è in questo adattamento reciproco, nella nostalgia dei ricordi, nella scoperta di piccole felicità estinte, nei gesti gentili di un uomo speciale che può nascondersi la forza di accettare che il destino, ancora una volta, ci sorprenda. Bella mia è un romanzo di grande intensità che parla con un linguaggio scarno ed essenziale dell'amore e di ciò che proviamo nel perderlo. Ma soprattutto della speranza e della rinascita: la rinascita di una città squassata dal sisma e la rinascita ancora piú faticosa della fiducia nella vita.
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con "L'Arminuta" fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro perde tutto - una casa confortevole, le amiche più care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c'è Adriana, che condivide il letto con lei. E c'è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L'accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell'Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
La storia di una donna che si ritrova a improvvisarsi madre, nonostante quell'idea di sé fosse stata abbandonata da tempo, con un adolescente taciturno e scontroso. E ciò che succede alla protagonista e io narrante di questo romanzo, quando la sorella gemella, che sembrava predestinata alla fortuna, rimane vittima del terremoto de L'Aquila. Il figlio Marco viene affidato in un primo tempo al padre, che però non sa come occuparsene. Prendersi cura del ragazzo spetta dunque a lei e alla madre anziana, trasferite nelle C.A.S.E. provvisorie del dopo-sisma. Da allora il tempo trascorre in un lento e tortuoso processo di adattamento reciproco, durante il quale ognuno deve affrontare il trauma del presente, facendo i conti con il passato. Ed è proprio nella nostalgia dei ricordi, nei piccoli gesti gentili o nelle attenzioni di un uomo speciale, che può nascondersi l'occasione di una possibile rinascita.
Il racconto di un amore tra madre e figlia "andato storto da subito". Un romanzo potente e vitale, in cui le vicende personali si uniscono alla storia corale di un'Italia contadina, ritratta dagli anni di guerra fino ai nostri giorni. Quando Esperia mostra i segni di una malattia che le toglie la memoria, è tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire un'identità smarrita. Inizia così, giorno dopo giorno, il racconto di un passato dal quale riaffiorano ricordi dolcissimi e crudeli, riprendono vita le figure dei familiari e degli abitanti della piccola comunità montana che le ha viste nascere e crescere entrambe. In un Abruzzo luminoso e aspro, che affiora tra le pagine come una terra mitologica e lontana, le fatiche della campagna, l'allegria dei matrimoni, la ruvidezza degli affetti, l'emancipazione dall'analfabetismo e la fine della sottomissione femminile si intrecciano al racconto di una lenta metamorfosi dei sentimenti in un indissolubile legame madre-figlia che oscilla tra amore e odio, nostalgia e rifiuto.
Il racconto di un amore tra madre e figlia "andato storto da subito". Un romanzo potente e vitale, in cui le vicende personali si uniscono alla storia corale di un'Italia contadina, ritratta dagli anni di guerra fino ai nostri giorni. Quando Esperia mostra i segni di una malattia che le toglie la memoria, è tempo per la figlia di prendersi cura di lei e aiutarla a ricostruire un'identità smarrita. Inizia così, giorno dopo giorno, il racconto di un passato dal quale riaffiorano ricordi dolcissimi e crudeli, riprendono vita le figure dei familiari e degli abitanti della piccola comunità montana che le ha viste nascere e crescere entrambe. In un Abruzzo luminoso e aspro, che affiora tra le pagine come una terra mitologica e lontana, le fatiche della campagna, l'allegria dei matrimoni, la ruvidezza degli affetti, l'emancipazione dall'analfabetismo e la fine della sottomissione femminile si intrecciano al racconto di una lenta metamorfosi dei sentimenti in un indissolubile legame madre-figlia che oscilla tra amore e odio, nostalgia e rifiuto.