Già quando Talleyrand viveva erano leggendari i suoi bons mots - una battuta sussurrata a un'amica con aria noncurante, uno strale lanciato a un avversario politico attraverso una tavola imbandita, una risposta piazzata al momento giusto per togliersi dai piedi un postulante -, destinati a riverberarsi di salotto in salotto e di corte in corte, fino ad assumere lo status di certe sentenze anonime che tutti ricordano ma di cui nessuno saprebbe indicare l'origine. Così accadde che nel 1829 Henri de Latouche, singolare poligrafo di cui spesso scorgiamo la sagoma dietro le quinte del Romanticismo francese, ebbe l'eccellente idea di raccoglierli e di pubblicarli in un delizioso libretto che la finzione letteraria vuole inviato da una misteriosa Madame de *** a un'altrettanto misteriosa Contessa di..., la quale risponderà a sua volta con un florilegio di motti e aneddoti folgoranti significativamente intitolato "Il rovescio della medaglia". Il libretto apparve mentre Talleyrand stava preparando il suo ultimo capolavoro: la sua uscita dalla scena del mondo. Mai riproposto in Francia dopo la prima edizione (che era già assai confidenziale), L'album perduto merita un posto accanto a quei preziosi "libri portatili" in cui lo spirito francese, da La Rochefoucauld a Chamfort, ha cristallizzato il meglio di sé, e al tempo stesso ci introduce al genio di uno dei rari esseri che, nel mondo moderno, hanno capito i segreti - fisici e metafisici - della politica e del potere.