Il vecchio commissario Bärlach è a fine corsa. A pochi giorni dalla pensione, giace in un letto d'ospedale. Il complesso intervento a cui è stato sottoposto è andato bene, sì, ma gli è stata diagnosticata una malattia senza scampo. È messo male, Bärlach, e le riviste che ha a disposizione per distrarsi non lo distraggono affatto: «Erano bestie, Samuel... Tu sei un medico e puoi renderti conto. Guarda un po' questa fotografia» dice all'amico Hungertobel porgendogli un numero di «Life» del '45. Una scena di inaudita efferatezza: nel campo di concentramento di Stutthof il dottor Nehle, medico del lager, con «l'imperturbabilità di un idolo» sta operando un prigioniero senza narcosi. Di colpo Hungertobel impallidisce. In quella foto gli è parso di riconoscere il suo antico compagno di studi Emmenberger, ora stimato proprietario della più esclusiva clinica di Zurigo, un luminare amato dai suoi pazienti, che «credono in lui come in un dio». L'atroce sospetto, però, non tarda a rivelarsi infondato, anzi «una follia»: dalle informazioni che Bärlach riesce a ottenere risulta infatti che Nehle si è tolto la vita alla fine della guerra. Eppure qualcosa non gli torna. Ci sono strane discrepanze - e ancor più strane somiglianze: le figure di Nehle ed Emmenberger sembrano confondersi. Negli occhi di Bärlach, stretti a fessura, torna a brillare l'antica vitalità quando convince Hungertobel a farlo trasferire sotto falso nome, come paziente, nella clinica di Emmenberger. Lì potrà condurre la sua ultima, solitaria battaglia contro il Male.
«Sono un mercenario, e sono fiero di esserlo». A parlare è il colonnello FD 256323: questo il numero che gli hanno assegnato quando si è arruolato al servizio dell'«amministrazione», venti o trent'anni prima – non ricorda bene, e del resto chi lo conta più il tempo? Allora la terza guerra mondiale con le sue devastazioni nucleari aveva decimato l'umanità...
Esiste il delitto perfetto? Gastmann, «demonio in forma umana», ne è convinto, e per dimostrarlo al commissario Bärlach – e vincere la temeraria scommessa fatta in una bettola sul Bosforo – getta uno sconosciuto dal ponte di Galata. Ormai i due sono incatenati l'uno all'altro. Per oltre quarant'anni il commissario seguirà imperterrito le orme di Gastmann, nel vano tentativo di fornire le prove dei delitti via via più audaci, efferati e sacrileghi che costui ha commesso per capriccio. Finché un giorno l'assassinio dell'ispettore Shmied della polizia di Berna - la città dove Barlach è nato, e che lui chiama il suo <<aureo sepolcro>> - lo metterà nuovamente di fronte al suo nemico, e al sinistro viluppo di trame politiche e finanziarie di cui questi tira le fila. A Barlach non resta molto da vivere: giusto il tempo di regolare i conti una volta per tutte. Ormai ha emesso il suo verdetto - ed è una condanna a morte.
Quando Georges Simenon, che di noir se ne intendeva, lesse questo romanzo cupo, implacabile e lacerante, disse semplicemente: <<Non so che età abbia l'autore. Se è alla sua prima prova, credo che farà strada>>.
Quattro pensionati - un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia - ammazzano il tempo inscenando i grandi processi della storia: a Socrate, Gesù, Dreyfus. Ma certo è più divertente quando alla sbarra finisce un imputato in carne e ossa: come Alfredo Traps, rappresentante di commercio, che il fato conduce un giorno alla villetta degli ex uomini di legge. La sua automobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vegliardi, che gli illustrano il loro passatempo. L'ospite è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Come aiutarli? Niente paura, lo rassicurano: "un crimine si finisce sempre per trovarlo". E se la colpa non viene alla luce, la si confeziona su misura: "bisogna confessare, che lo si voglia o no, c'è sempre qualcosa da confessare". Tra grandi abbuffate e abbondanti libagioni, il gioco si fa sempre più pericoloso, finché il piazzista si avvede d'essere non già un tipo banale, mosso solo da meschine aspirazioni di carriera e sesso, bensì un delinquente machiavellico, capace di usare la sua amante come un'arma infallibile contro il superiore cardiopatico.
Sistemati i personaggi come pedine su una scacchiera, Friedrich Dürrenmatt dà il via a uno dei giochi più raffinati e crudeli, mettendo a nudo le ipocrisie, i sottintesi e le ambiguità delle strutture del potere. Vincolati da sottili fili mentali a una ragnatela che acquista sempre più una dimensione reale, i protagonisti iniziano a sbranarsi a vicenda, rivelando retroscena meschini, scambiandosi accuse, rompendo e creando alleanze. Invece di agire nell'interesse della comunità, ai quindici importa soltanto comandare e ottenere più potere. Non c'è spazio per ideali e valori, dubbi o risentimenti. Un congegno narrativo di precisione e tensione che fa serpeggiare un dubbio nella mente del lettore: e se fosse proprio l'uomo con la sua sconfinata sete di potere a essere incapace di ambire a valori più giusti?
Allo psichiatra Otto von Lambert hanno ammazzato la moglie nel deserto del Marocco, presso le rovine di Al-Hakim: chi l'ha violentata lasciando poi che gli sciacalli ne dilaniassero le spoglie? Autentico mostro, von Lambert incarica la giornalista televisiva F. di volare a Marrakech e ricostruire le tappe della scomparsa di Tina e un delitto "di cui lui come medico era l'autore, mentre l'esecutore non rappresentava che un fattore casuale". Si tratta di mettere in piedi una simulazione che consenta un'osservazione postuma e fittizia dei fatti: del resto, un occhio onnipresente e occulto ci scruta, e la realtà è percepibile solo attraverso l'obiettivo glaciale di una telecamera o di un satellite. Ma ciò in cui F. e la sua équipe si imbattono è uno scenario apocalittico: missili confitti nelle sabbie del Sahara, mezzi corazzati arenati come gigantesche testuggini, cadaveri di acciaio radioattivo, in un folle gioco di guerre simulate e abbandonate dopo i test. E via via che la temeraria indagine prosegue, F. si addentra in una storia più grande di lei, precipita nel gorgo di un intrigo internazionale e golpistico, si cala nei labirinti scavati nelle viscere della terra da apprendisti stregoni. Con questo "giallo", che ha la densità di un racconto filosofico, Dürrenmatt ci trascina in un universo alla mercé di occhi elettronici, dove il solo cui sia dato osservare tutto e tutti è un indifferente Dio nascosto.
Tutta giocata di sponda è la partita di biliardo (umano) su cui si impernia questo romanzo giallo: o meglio "antipoliziesco", giacché sin dall'inizio ci esibisce l'assassino. La prima palla a finire in buca, per un colpo a la bande, è la testa calva del professor Winter, esimio germanista: centrato dai proiettili dello squisito consigliere cantonale Kohler, cade con la faccia nel piatto di tournedos Rossini che stava gustando nel ristorante Du théâtre. Quindi, a una a una, rotoleranno in buca le altre palle - un playboy, una squillo d'alto bordo, una perfida nana, un protettore -, delineando un autentico rompicapo: "II comandante era disperato. Un omicidio senza motivo per lui non era un delitto contro la morale, bensì contro la logica". Kohler, poi, in galera è l'uomo più felice del mondo: trova giusta la pena, meravigliosi i carcerieri, e intreccia serafico ceste di vimini. Ha un unico desiderio: che l'avvocato Spät, squattrinato difensore di prostitute, si dedichi finalmente a un'impresa seria (ma a lui sembrerà pazzesca) e riesamini il caso partendo dall'ipotesi che non sia Kohler l'omicida: "Deve solo montare una finzione. Come apparirebbe la realtà, se l'assassino non fossi io ma un altro? Chi sarebbe quest'altro?". Accettata la sfida, Spät precipiterà ben presto in un gorgo, in una surreale commedia umana e filosofica che tiene tutti - lettori in primis - col fiato sospeso: per quale ragione Kohler è di umore tanto allegro? E perché mai ha ucciso Winter?
In un isolato villaggio di montagna, un centro terapeutico costruito verso la metà dell'Ottocento è il teatro in cui Dürrenmatt fa muovere i personaggi della sua "commedia". Durante l'estate il centro "Casa della Povertà" è usato come luogo di riposo dai milionari stanchi della loro ricchezza e desiderosi di cambiar pelle per un breve periodo, mentre d'inverno diventa ospedale e rifugio di gangster costretti dalla loro famigerata celebrità a cambiare i connotati. Il Grande Vecchio senza barba, rovescio pagano del Dio del Vecchio Testamento, manovra gli eventi e i personaggi del mondo paradossale e insensato di Dürrenmatt, in cui positivo e negativo si equivalgono e si sovvertono di continuo, i crimini più orrendi avvengono con estrema naturalezza e tutto e tutti sono intercambiabili. E questo universo non è una "valle di lacrime", bensì nient'altro che una "Valle del Caos", dominata dal principio dell'assurdo. Con il linguaggio graffiante che gli è peculiare Dürrenmatt colpisce la società con una satira amara e grottesca, condotta sul filo di una tensione sempre incalzante, che si risolve in un finale grandioso e apocalittico.
Un banale incidente costringe Alfredo Traps, rappresentante di articoli tessili, a fermarsi in un paese. La panne non gli spiace, una notte fuori casa può sempre offrire un'avventura. Ma la casa che lo ospita, quella di un vecchio giudice a riposo, non è quanto si aspettava. Infatti, invece di qualche compagnia femminile, il rappresentante trova quattro vecchietti, tutti ex uomini di legge, che gli spiegano il loro unico passatempo: rifare dei famosi processi storici come quello a Socrate, a Gesù, a Giovanna d'Arco. Ma il gioco, aggiungono, diventa più bello con del materiale vivente. E cosi Traps, tra una bottiglia di vino e l'altra, si ritrova in veste di imputato. In un'atmosfera sempre più inquietante, il gioco scivola nella realtà per poi tornare gioco, in uno sfasamento continuo abilmente orchestrato dai quattro amici: Traps parla, si confessa, la sua vita banale sembra acquistare improvvisamente risvolti cruenti; sognava un'avventura ma si sente scoperto e si svela attraverso un esercizio di raffinate sevizie mentali, dove la posta finale può sciogliersi in una risata generale o in una condanna senza possibilità di appello.