Con Schaeffler la libertà può essere definita come capacità di "fare esperienza", ovvero capacità di un dialogo con il reale in cui ne va della forma della libertà stessa. Quanto è cercato da Schaeffler è una figura di coscienza capace di apprezzare la normatività del fenomeno contingente, senza rimanere fissata in forme aprioriche incapaci di coglierne la novità, senza ridurre il fenomeno a momento apparente di un processo di automediazione. Il contingente tuttavia non è singolarità che frammenta il reale ma, esattamente nella sua irriducibili, luogo in cui risuona quell'unico appello che si fa momento propulsore per l'evoluzione della coscienza e ragione della continuità del dialogo. Può questo modello essere produttivamente assunto dalla teologia come strumento filosofico per il lavoro dell'ermeneutica teologica e come proposta per una teoria della coscienza credente?