Dopo una lunga fase in cui si è immaginato che un pensiero radicale debba necessariamente percorrere una strada destituente, questo libro intende ripensare il rapporto tra vita e istituzioni. Ribaltando tale tesi, Roberto Esposito non solo ricostruisce il dibattito novecentesco sul ruolo innovativo delle istituzioni, ma ne riconosce la genealogia profonda in tre autori classici come Machiavelli, Spinoza e Hegel. Partendo dall'enigmatico lemma latino, di incerta origine, vitam instituere, l'autore ne coglie la prima elaborazione nella filosofia moderna, lungo una direzione che soltanto oggi sembra sperimentare un possibile esito in una nuova interpretazione del rapporto tra politica e vita. Se nel diritto romano il tema dell'institutio vitae trova un'iniziale enunciazione, è Machiavelli il primo a pensare la politica come energia istituente. Dopo che Spinoza conferisce all'immaginario sociale la capacità di istituire la vita di relazione, Hegel per la prima volta vede nello 'spirito oggettivo' lo spazio in cui società e Stato si articolano nella dinamica delle istituzioni. Ma nel sistema hegeliano, a esprimere la potenza istituente è la stessa dialettica come processo infinito in cui le idee s'incarnano nella realtà. È solo a partire da queste radici moderne che il pensiero contemporaneo trova nel movimento delle istituzioni il luogo strategico in cui i linguaggi della filosofia, dell'antropologia e della politica s'incrociano in un nuovo orizzonte di senso.
Mai come oggi, nella crisi che ha colpito il mondo intero, le istituzioni nazionali e internazionali risultano necessarie a fronteggiare l'emergenza sanitaria, economica, sociale e politica. Eppure esse ci sono apparse più volte inadeguate, se non addirittura responsabili di quanto è accaduto. Perché? Una diffidenza che non nasce ora, ma è l'esito ultimo di un'interpretazione repressiva delle istituzioni, che ha trovato il suo culmine nella loro contrapposizione ai movimenti. Contro di essa una lettura nettamente diversa, originale e provocatoria, che valorizza il processo istituente come prassi innovativa, e che ci costringe a ripensare radicalmente la relazione costitutiva dell'istituzione con la politica e la vita.
Mai come in questo momento, connotato da una minaccia sempre più pressante e diffusa, la richiesta di immunizzazione sembra caratterizzare tutti gli aspetti della nostra esistenza. Quanto più si sente esposta al rischio di infiltrazione e di contagio da parte di elementi estranei, tanto più la vita dell'individuo e della società si chiude all'interno dei propri confini protettivi. Tuttavia, questa opzione immunitaria ha un prezzo assai alto: come il corpo individuale, anche quello collettivo può essere «vaccinato» dal male che lo insidia soltanto attraverso la sua immissione preventiva e controllata. Ciò vuol dire che, per sfuggire alla presa della morte, la vita è costretta a incorporarne il principio. A sacrificare la «forma» del vivente alla sua semplice sopravvivenza biologica. Ormai questo meccanismo dialettico tra conservazione e negazione della vita sembra pervenuto a un punto limite: al di là del quale si apre la drammatica alternativa tra un esito autodistruttivo e una possibilità ancora inedita che ha al centro un nuovo pensiero della comunità.
Nel cuore di una devastante crisi economica due eventi tragici venuti dall'esterno, come l'ondata immigratoria e il terrorismo islamico, hanno mutato radicalmente il profilo e il significato dello spazio che chiamiamo Europa. In presenza di un simile salto di paradigma, la riflessione filosofica è in condizione di esercitare la propria potenza inventiva piú di altri saperi. Ma solo se è capace di oltrepassare i propri confini lessicali, volgendo lo sguardo fuori di sé. È quanto, rompendo con il linguaggio delle filosofie della crisi primonovecentesca, hanno fatto alcune traiettorie di pensiero, tedesche, francesi e italiane, capaci di imporsi all'attenzione internazionale. Analizzati da questa prospettiva inedita, i grandi testi di Adorno e Derrida, di Foucault e Deleuze, ma anche quelli dei pensatori italiani piú recenti, ricevono una nuova luce. Dal loro rapporto e dalla loro tensione, ricostruita con straordinaria sensibilità teoretica da uno dei protagonisti della filosofia contemporanea, può nascere un pensiero all'altezza delle sfide cui è sottoposta oggi l'Europa. Teoria critica, filosofie della differenza, biopolitica costituiscono, nel loro confronto e nel loro attrito, scandagli decisivi per mettere a fuoco i tratti del nostro tempo e profilare i contorni di quanto ci aspetta.
Da dove nasce la politica? Cosa la lega alla terribile guerra - quella intorno a Troia - che la precede e in qualche modo la determina? Qual è il suo rapporto con la libertà e con il male, con la giustizia e con il potere? Sono le domande essenziali che attraversano questo libro di Roberto Esposito, che ora viene riproposto con una nuova introduzione. Qui la ricerca sull'origine della politica fa tutt'uno con quella sul suo destino. Ma l'elemento di particolare interesse è che tali domande sono poste alle due maggiori pensatrici del XX secolo, Hannah Arendt e Simone Weil, da uno dei loro più sensibili interpreti. Da questo punto di vista il libro costituisce il primo "corpo a corpo" tra due pensieri che della politica hanno fatto il loro oggetto privilegiato. E tuttavia, nonostante la loro singolare prossimità spirituale e anche biografica - entrambe donne, entrambe ebree, entrambe segnate dall'esperienza della persecuzione e dell'esilio -, Hannah Arendt e Simone Weil danno risposte profondamente diverse ai grandi interrogativi che ancora ci inquietano. La Grecia, Roma, la tradizione cristiana, la modernità, il totalitarismo novecentesco sono i "luoghi del tempo" in cui si snoda questo appassionante confronto a distanza.
Alla fine di un dibattito che ha attraversato l'intero Novecento, il significato ultimo della nozione di "teologia politica" continua a sfuggirci. Nonostante i tentativi di venirne a capo, parliamo ancora il suo linguaggio, restiamo ancora nel suo orizzonte. Il motivo, per Roberto Esposito, sta nel fatto che la teologia politica non è né un concetto né un evento ma il perno intorno al quale ruota, da più di duemila anni, la macchina della civiltà occidentale. Al suo centro vi è l'articolazione tra universalismo ed esclusione, unità e separazione. La tendenza del Due a farsi Uno attraverso la subordinazione di una parte al dominio dell'altra. Tutte le categorie filosofiche e politiche che adoperiamo, a partire da quella, romana e cristiana, di persona, riproducono ancora questo dispositivo escludente. Perciò il congedo dalla teologia politica - in cui risiede il compito della filosofia contemporanea - passa per una radicale conversione del nostro lessico concettuale. Solo quando avremo restituito al pensiero il suo "posto" - relativo non al singolo individuo ma all'intera specie umana - potremo sfuggire alla macchina che da troppo tempo imprigiona le nostre vite.
Diversamente da altre culture filosofiche, caratterizzate dall'indagine sul soggetto o dalla teoria della conoscenza, dall'analisi del linguaggio o dalla decostruzione ermeneutica, essa appare fin dall'inizio estroflessa sul suo esterno, esposta ai conflitti e ai traumi dell'esperienza mondana. Al suo centro, eccedente rispetto a ogni definizione presupposta, si dispiega la categoria di vita, in una relazione sempre tesa e problematica con quelle di politica e di storia. È proprio questa materia densa e opaca, difficilmente riducibile all'ordine formale della rappresentazione, a spingere il pensiero italiano in una sintonia profonda con i tratti costitutivi del nostro tempo. Antagonismo e immanenza, origine e attualità, comunità e biopolitica, interrogate nella loro genesi concettuale e impresse nel cuore della contemporaneità, sono le polarità intorno alle quali, in un confronto serrato con i maggiori filosofi italiani, si snoda il percorso teoretico originale e avvincente di uno dei protagonisti del dibattito filosofico contemporaneo.
Mai come oggi la nozione di persona costituisce il riferimento imprescindibile di tutti i discorsi - filosofici, etici, politici - volti a rivendicare il valore della vita umana in quanto tale. È cosi nell'ambito della bioetica, dove cattolici e laici, pur in contrasto sulla sua genesi e la sua definizione, convergono sulla valenza decisiva dell'elemento personale: solo in base ad esso, la vita umana è considerata intangibile. Ed è cosi sul piano giuridico, lungo un percorso che lega sempre più strettamente il godimento dei diritti soggettivi alla qualifica di persona: questa appare l'unica in grado di riempire lo scarto tra uomo e cittadino, diritto e vita, anima e corpo, aperto fin dalle origini della nostra tradizione. La tesi radicale e inquietante di questo saggio è che la nozione di persona non sia in grado di ricomporre tale scarto perché è proprio essa a produrlo. Più che un semplice concetto, quello di persona è un dispositivo di lunghissimo periodo il cui effetto primario è la separazione, all'interno del genere umano e anche del singolo uomo, tra una zona razionale e volontaria fornita di particolare valore e un'altra, immediatamente biologica, spinta dalla prima verso la dimensione inferiore dell'animale o della cosa.
Si può dire che nessun tema sia al centro del dibattito filosofico internazionale come quello della comunità: dal "com'unitarismo" americano all'etica della comunicazione di Habermas e ApeI, al decostruttivismo francese di Derrida e Nancy. E tuttavia, in nessuno di questi casi il concetto di comunità è stato interrogato a partire dal suo originario significato etimologico: "cum munus". È quanto tenta in questo libro l'autore, attraverso una "controstoria" della filosofia politica che ha per oggetto non solo l'opera di Hobbes, Rousseau, Kant, Heidegger e Bataille, ma anche quella di Hõlderin e di Nietzsche, di Freud e di Canetti, di Arendt e di Sartre. Questa riedizione è arricchita da un saggio sul rapporto tra comunità e nichilismo.
Da qualche tempo nessuno dei grandi eventi che scuotono il mondo è più interpretabile fuori della categoria di biopolitica: dovunque si volga lo sguardo, la questione del bíos appare al centro di tutte le traiettorie politicamente significative. E tuttavia, a tale straordinario rilievo non corrisponde una adeguata chiarezza sul significato del concetto. Esso sembra percorso da un'incertezza di fondo, da un'inquietudine semantica, che lo espone a letture contrastanti. Ciò che, in tale contrasto, resta irrisolta è la domanda posta per la prima volta da Michel Foucault: come mai la relazione sempre più diretta della politica con la vita rischia di produrre un esito di morte? Nel libro l'autore cerca una risposta a questo interrogativo.