A distanza di tre decenni fatichiamo ancora a inquadrare Mani pulite e in che misura abbia creato l'incerto presente politico che viviamo. Se è vero che, come scrive Filippo Facci, «non aveva mai attecchito un vero senso dello Stato, e tantomeno una disposizione a scandalizzarsi per condotte poco etiche», da che cosa ebbe origine il clamore intorno a un'indagine che, in apparenza partita da un comune caso di corruzione, ha cambiato per sempre l'immaginario della nazione? All'epoca giovane cronista, l'autore ha seguito le tracce e le crepe prodotte da quel terremoto, scavando nelle versioni improbabili - la favola del magistrato onesto che smaschera i corrotti, l'epurazione delle mele marce - e in altre non meno improbabili e complottiste legate a scenari internazionali. Da quel lavoro emergono oggi risvolti inaspettati che si ricollegano a eventi e fenomeni vicini e lontani, tra cui il maxiprocesso di Palermo, che avrebbe dovuto essere salutato come la vera svolta e invece venne attaccato da più parti, e il bombardamento mediatico, con giornali e talk show impegnati a tenere vivo il clima emergenziale, spianando la strada all'antipolitica. Tra protagonisti e comprimari, reazioni a caldo e insospettabili derive, rimuovendo ogni patina di ipocrisia, Facci restituisce un impietoso ritratto del paese che siamo stati e che forse siamo ancora, spingendo a domandarci: è giunto il momento di ammettere, con il procuratore capo Borrelli, che «non valeva la pena buttare all'aria il mondo precedente per cascare in quello attuale»?
La scena dell'Hotel Raphaël e del lancio delle monetine contro Bettino Craxi è considerata tipicamente il simbolo di un'epoca, il palcoscenico del feroce «debutto» dell'antipolitica che segnerà la vita pubblica nei decenni a venire. Tuttavia, il giorno successivo, i quotidiani non pubblicarono la notizia. E neppure nei giorni seguenti. Nessuno raccontò la violenza dell'aggressione, della denigrazione, dello scherno, dell'«uccisione del nome» di un uomo. «Dovevamo sbranare Craxi, avremmo dovuto farlo fuori a pezzi, gettare le sue budella sulla porta del Raphaël e trascinarle fino al Parlamento... Io c'ero. E non ho capito che occasione avevo per le mani», scriverà a distanza di anni uno dei presenti. Testimone diretto e appassionato cronista, Filippo Facci torna sul luogo dove tutto ebbe inizio in un racconto, fotogramma per fotogramma, scandito dalle ore in cui sembrò non succedere nulla e accadde di tutto, in un crescendo teatrale di eventi puntuali che, alla luce degli anni successivi, possono essere colti come avvisaglie e tracce della rivoluzione che ha scosso la nostra democrazia. In un singolare e brillante esercizio di sintesi di memoria individuale e collettiva, memoir, saggio narrativo e romanzo della cronaca, l'autore rilegge da una prospettiva originalissima gli avvenimenti che si succedono dalle 10:00 di giovedì 29 aprile alle 23:50 di venerdì 30 aprile 1993, tra Roma e Milano. I ricordi del suo rapporto personale con Craxi svelano al lettore dettagli inediti, e la narrazione di un «prima» e di un «dopo» fornisce una mappa sulla quale orientarsi per cogliere appieno il senso di una vicenda che ha definitivamente cambiato la percezione della politica nel nostro paese.
La storia della musica è costellata di misteri risolti e irrisolti, veri e propri thriller che con rare eccezioni, come la morte di Mozart, sono rimasti un territorio parzialmente inesplorato di musicisti, musicologi e appassionati: eppure si tratta di trame che spesso non hanno niente da invidiare a quelle dei grandi gialli della letteratura, vicende che mischiano risvolti biografi ci storicamente noti a incursioni nella leggenda e nel fantastico. A tutt’oggi non è facile separare il ritratto di Paganini dalle ombre demoniache che lo circondarono, o comprendere perché la musica di Wagner sia considerata inscindibile dal profilo di Hitler, o più semplicemente capire perché Rossini si ritirò dalle scene a soli trentasette anni. Filippo Facci, appassionato ed esperto di musica classica, porta alla luce gli scheletri negli armadi dei più celebri musicisti, ricostruendo in questo modo anche la loro biografi a: un libro organizzato in brevi capitoli, ognuno dei quali dedicato a un grande musicista e ai fatti misteriosi che hanno caratterizzato la sua vita.
La stesura di questa biografia procede parallela con l'ascesa sfolgorante di Antonio Di Pietro. Il risultato è una ricognizione completa e meticolosa della carriera di un personaggio che resta, tra i più noti nell'Italia di questi anni, quello di cui in assoluto si conosce meno. Poco è stato raccontato circa un passato che lo stesso Di Pietro tende misteriosamente a dissimulare: dai pascoli molisani all'emigrazione in Germania, dalla sorveglianza di armamenti Nato a una laurea conseguita in soli trentadue mesi, dal ruolo di presunto agente dell'antiterrorismo a quello di viaggiatore in scenari da spionaggio internazionale, dalla stretta amicizia con una combriccola di potenti al suo averli passati per le manette uno per uno. Poco è stato raccontato, in realtà, anche di un presente che il leader dell'Italia dei Valori lascia regolarmente nell'ombra: l'autoritarismo, il familismo, il partito fondato sull'obbedienza al capo, la disinvoltura nell'incassare e gestire il finanziamento pubblico, gli accordi sottobanco col "regime" berlusconiano, lo spettacolare trasformismo, l'esibita duttilità di chi sembra disposto a tutto pur di realizzare la sua seconda rivoluzione e punta così a inasprire ogni conflitto istituzionale, delegittimare ogni baluardo di riferimento, dipingere un paese svuotato di democrazia.