Nei primi decenni del '900, la Congregazione del Sant'Ufficio discusse al suo interno progetti di riforma volti a riaffermare la propria autorità messa in discussione dai processi di secolarizzazione. Sullo sfondo di questo quadro istituzionale, il libro indaga le pratiche dei custodi dell'ortodossia e della morale cattolica. Al centro dell'attenzione vi sono vicende emblematiche del difficile rapporto tra il clero e il corpo: il corpo ostile della donna e il corpo inteso come luogo di pulsioni, indicibile perché scandaloso. Le vicende qui discusse - a proposito di mistiche, fondatrici, "teologhesse", medici, pedagoghi e sacerdoti accusati di molestie verso le penitenti - permettono di osservare come il Sant'Ufficio reagì a tali difficili questioni.
Le vite al bando, di cui, attraverso fonti processuali, si ricostruiscono alcuni momenti, sono quelle dei membri di una delle tante compagnie di zingari che vive, nei decenni a cavallo tra XVI e XVII secolo, nell'area padana. Vite di uomini e donne alle prese con l'ordine di espulsione, banditi ma ciò nonostante inseriti in contesti sociali e relazionali che, pur segnati da una diffusa ostilità, svelano una realtà quotidiana diversa da quella descritta dalle retoriche criminali, dagli stereotipi e dagli immaginari che proprio nel corso del XVI secolo vengono 'stabiliti' e fissati in forme che resteranno valide per i secoli a venire. Le storie degli zingari narrate permettono quindi di indagare il significato profondo della condizione di bando, il suo essere strumento principe di un potere che si afferma ordinando lo spazio geografico in interno ed esterno e definendo le condizioni umane e politiche come "fedeli" o pericolose. Un bando smentito dalla presenza cingara consolidata e a suo modo radicata - che ci interroga, ancora, sui limiti e sul senso delle relazioni tra "minoranze culturali" e società maggioritarie e sui processi di costruzione degli immaginari identitari.