La pubblicazione, nel 1963, del libro di Hannah Arendt "La banalità del male" suscitò un dibattito incandescente, che turbò profondamente Arendt, anzitutto perché quel libro incrinò i suoi rapporti con gli amici e i sodali ebrei di un tempo, tra i quali Gershom Scholem. Ma quel dibattito dai toni accesissimi, che dagli ambienti accademici tracimò sui giornali e sui media del tempo, era destinato a lasciare un segno indelebile sul pensiero e sulla vita stessa di Arendt. Esso inaugurò un lungo e travagliato percorso speculativo che l'avrebbe condotta al capolavoro incompiuto "La vita della mente". La "questione ebraica", così come viene messa a fuoco attraverso il dibattito provocato da "La banalità del male", segna così una svolta radicale nel cammino di pensiero di Arendt e lascia affiorare una concezione assolutamente peculiare dell'ebraismo, distante anni luce dalle versioni allora dominanti, compresa quella difesa dallo Stato di Israele, una concezione che negli scritti arendtiani, fino ad allora, era rimasta sottotraccia.
A partire dagli anni Settanta del Novecento, nelle società occidentali acquistano centralità le lotte di nuovi soggetti, come le donne e gli omosessuali, per il riconoscimento della loro differenza peculiare. Anche le comunità etniche pretendono che la loro diversità culturale venga accettata e riconosciuta nello spazio pubblico. Negli anni Ottanta poi, accanto a queste battaglie per l'emancipazione e l'autodeterminazione personale o di comunità intere, si assistette a una parabola crescente di nazionalismi e fondamentalismi di ispirazione religiosa. Multiculturalismo è la parola-chiave che riassume la molteplicità e la complessità di questa mutazione epocale tuttora in corso. La sfida cui le società odierne sono chiamate è quella di ridefinire l'intera panoplia dei concetti politici moderni (cittadinanza, identità nazionale, sovranità dello Stato), finora considerati come una sorta di universali "evolutivi", alla luce della nuova situazione. Ma solo un lavoro di autoriflessione critica, di natura anche filosofica, della cultura occidentale potrà riuscire a mettere a fuoco la questione multiculturale nella sua portata storica effettiva, cioè nel suo essere al contempo un'eredità del colonialismo e l'esito dei processi e delle dinamiche della globalizzazione. Partendo da queste premesse, l'autore riflette sull'evoluzione delle società contemporanee, costrette ad adattarsi velocemente alle nuove esigenze nate dalla convivenza di popoli con culture e storie molto diverse tra loro.