"New Jersey, 1895. Un uomo scruta nella notte, in cerca dei bagliori di un incendio di cui ha avuto notizia. L'uomo è Thomas Edison, il celeberrimo inventore, un nome che è quasi sinonimo di elettricità. Ma c'è un altro uomo che ha in questo campo importanti meriti. Quello che sta bruciando è il suo laboratorio. E certo non è un caso." In un romanzo-verità, Anthony Fiacco ricostruisce vita e vicissitudini di Nikola Tesla, geniale e poliedrico inventore, scopritore di principi fondamentali e rivoluzionari nel campo dell'elettricità, affascinante catalizzatore di mille misteri, divenuto prima ricco e celebre e quindi povero e dimenticato. Solitario e tormentato, oggetto di invidie e persecuzioni, quando, dopo aver rifiutato nientemeno che il premio Nobel, Tesla morì, agenti del governo che sorvegliavano l'albergo in cui dimorava irruppero e sequestrarono tutte le sue carte. Solo un prezioso incartamento riuscì a sfuggire alla razzia: il piano per il sistema di energia universale. Produrre elettricità gratuita: per tutti, ovunque, per sempre. La più grande delle scoperte che la sua Musa gli aveva ispirato. Un progetto che molti avrebbero avuto interesse a distruggere.
Sanford Clark ha tredici anni e vive in Canada nella metà degli anni ’20. È un bravo ragazzino, senza troppi grilli per la testa e francamente non capisce per quale motivo sua madre Winnie insista perché si trasferisca in California con il fratello di lei, lo zio Stewart, intenzionato ad avviare un’attività di allevamento di polli. Sanford parte a testa bassa, con le parole di sua madre che ancora gli frullano nella mente: «Vedrai che sarà un’avventura, andrai a scuola, ti divertirai…». Ma la California non sarà per lui la terra promessa, solo un luogo solitario e ostile, dove il vero volto dello zio Stewart, attraente come un divo di Hollywood, rivelerà la sua natura deviata. Sanford diventa uno schiavo costretto a lavorare senza sosta. Maltrattato, sottoposto a ogni sorta di sofferenze e umiliazioni, si dovrà confrontare con il cuore nero e violento dello zio. Un essere dall’animo guasto e degenerato che lo rende complice di brutali atti di ferocia. Il ranch diventa per Sanford una prigione fisica e mentale, dove senso di colpa, abbrutimento e sopraffazione non gli danno tregua.
In fuga da un destino che pare segnato, riuscirà ad affrancarsi dal passato. Dimostrando che un’anima può mantenersi candida anche attraversando le fiamme dell’inferno.
Questo non è il racconto dell'onda furiosa della Grande Storia sul destino di un popolo. Non solo questo. È una storia piccola, che ha il nome e il volto di una bambina. Zubaida vive nel deserto dell'Afghanistan, in un villaggio che la "guerra al terrore" non ha ancora travolto. Ha nove anni. Non sa niente del mondo oltre il suo villaggio, poco della travagliata storia del suo paese, dei cingolati dell'Armata Rossa, della lotta dei mujaheddin, del regime dei talebani che ha proibito anche gli aquiloni, degli elicotteri con la bandiera a stelle e strisce. Cammina danzando, a piedi nudi, al ritmo di una musica che le suona dentro. Ma non dopo quel giorno. Non da quando un terribile incidente le ha ustionato le mani, il viso, il corpo. Da allora, la musica si è spenta. In un paese privo della più elementare assistenza medica, e in cui la vita di una figlia femmina vale ben poco, non sembra una fortuna che Zubaida sia sopravvissuta. Ma non per suo padre, non per l'ostinata determinazione di un uomo disposto a tutto pur di non arrendersi. Dovesse camminare fino all'inferno per salvare quella bambina ferita, piagata, fasciata in mille bende, che ora urla per affermare la propria esistenza. Fino ai campi militari degli americani, con le loro regole incomprensibili. Fino a oltrepassare la linea di demarcazione tra due culture, tra "loro" e "gli altri". Perché Zubaida possa tornare a danzare al ritmo della sua musica.
Questo non è il racconto dell'onda furiosa della Grande Storia sul destino di un popolo. Non solo questo. È una storia piccola, che ha il nome e il volto di una bambina. Zubaida vive nel deserto dell'Afghanistan, in un villaggio che la "guerra al terrore" non ha ancora travolto. Ha nove anni. Non sa niente del mondo oltre il suo villaggio, poco della travagliata storia del suo paese, dei cingolati dell'Armata Rossa, della lotta dei mujaheddin, del regime dei talebani che ha proibito anche gli aquiloni, degli elicotteri con la bandiera a stelle e strisce. Cammina danzando, a piedi nudi, al ritmo di una musica che le suona dentro. Ma non dopo quel giorno. Non da quando un terribile incidente le ha ustionato le mani, il viso, il corpo. Da allora, la musica si è spenta. In un paese privo della più elementare assistenza medica, e in cui la vita di una figlia femmina vale ben poco, non sembra una fortuna che Zubaida sia sopravvissuta. Ma non per suo padre, non per l'ostinata determinazione di un uomo disposto a tutto pur di non arrendersi. Dovesse camminare fino all'inferno per salvare quella bambina ferita, piagata, fasciata in mille bende, che ora urla per affermare la propria esistenza. Fino ai campi militari degli americani, con le loro regole incomprensibili. Fino a oltrepassare la linea di demarcazione tra due culture, tra "loro" e "gli altri". Perché Zubaida possa tornare a danzare al ritmo della sua musica.