La nostra classe dirigente non ci piace più, e non solo a noi. Sono stati sfiduciati dalla stampa mondiale, dal mercato e a guardarli in faccia si nota che sono piuttosto sfiduciati loro stessi. Suonano lontane le parole di Alcide De Gasperi: "Badate che nella vita pubblica non importerà tanto quello che voi direte, ma quello che voi sarete". In questi sessanta anni, chi lo ha ascoltato? In pochi, tra i politici di oggi; ed in pochi anche tra noi cittadini, che li abbiamo scelti e tollerati. Ora i nostri capi si stanno incamminando sul viale del tramonto ed è una vera e propria emorragia. Politica, economia, cultura: da dove viene la crisi di leadership che ha decapitato l'Italia? Alla ricerca di spiegazioni, esempi, idee, Giovanni Floris si imbarca in un'avventura nella storia della nostra repubblica. Osserva le eterne dicotomie d'Italia, incarnate tanto da Cavour e Garibaldi quanto da Agnelli e Marchionne, o da Totti e Baggio. Analizza capi del male come Totò Riina e capi del bene dal carisma universale come Giovanni Paolo II. Ci ricorda le volte in cui ci siamo affidati (sbagliando) all'Uomo del Destino, e quelle invece in cui abbiamo messo sul ponte di comando leader normali: i De Gasperi e i Pertini, i Ciampi e gli Amato che, magari senza emozionarci tanto, hanno saputo tirarci fuori da momenti di crisi gravissima. Non ci serve un Uomo della Provvidenza, suggerisce Floris, ci serve una nuova dirigente tutta intera.
Le classifiche del Paese parlano chiaro:
23° (su 30) per gli stipendi.
Il 16,5 per cento in meno rispetto alla media europea.
2° solo alla Grecia per evasione fi scale.
100 miliardi di mancate entrate.
24° (su 25) per la libertà di stampa.
Definizione tecnica: “parzialmente libero”.
156° (su 181) per la giustizia.
Peggio di Angola, Guinea e Gabon.
Nel 2009, nessun italiano in classifica, per esempio tra le 50 fi gure che hanno plasmato il decennio o i 100 libri dell’anno. Zero tituli. A costruirci un’immagine di simpatici ma inetti cafoni non sono solo antichi stereotipi, ma anche fatti e comportamenti reali. Tanto per cominciare il maggior debito pubblico dell’Ue, 1821,9 miliardi di euro. Ma anche tasse tra le più alte (siamo quinti, ma dietro i Paesi scandinavi che il denaro pubblico lo sanno usare molto meglio), la giustizia più lenta, infrastrutture ineffi cienti e costosissime. In tutta Italia ci sono 230 chilometri di rete metropolitana; nella sola Londra, 408. Per un contenzioso su un assegno a vuoto impieghiamo 645 giorni; in Olanda, 39. Per avviare un’impresa ci vogliono circa 5000 euro e 62 giorni di scartoffi e; in Usa, 170 dollari e 4 giorni. Nell’indice di libertà economica strutturato dal «Wall Street Journal» siamo al 74° posto, dietro al Botswana. E negli ultimi dieci anni la qualità della nostra vita è peggiorata: la bolletta del gas è aumentata del 50 per cento, quella della luce del 70, mentre i nostri stipendi rimangono tra i più bassi del continente e i nostri pensionati sono i più tassati. Per forza esportiamo più giovani professionisti di chiunque altro, un esodo di cervelli da quasi due miliardi di dollari. Giovanni Floris illustra con dati, inchieste, aneddoti e notizie quello che nessuno ha il coraggio di dirci: quanto siamo caduti in basso, e come è successo. Rivela come ci vedono davvero gli altri Paesi e quanti investimenti mancati ci costa questa immagine. Indaga casi eclatanti di corruzione, ineffi cienza, spreco. Chiede conto a una politica che non rimuove gli ostacoli alla crescita e ha smesso di fare il nostro interesse. Perché ormai, per l’Italia, navigare in zona retrocessione non è più solo imbarazzante. Può essere fatale.
Giovanni Floris è nato a Roma il 27 dicembre 1967. Giornalista dal 1995, ha seguito come inviato del Giornale Radio Rai i maggiori avvenimenti di politica, esteri ed economia. Ha condotto i GR del mattino e Radio anch’io; è stato corrispondente dagli Usa. È autore e conduttore di Ballarò, quest’anno alla nona edizione. Vincitore di numerosi premi tra cui Saint-Vincent, Premiolino, Flaiano, Guidarello e Elsa Morante, Oscar Tv e Telegatto. I suoi ultimi bestseller pubblicati da Rizzoli sono Mal di merito (2007), La fabbrica degli ignoranti (2008) e Separati in patria (2009).
Chi minaccia (o promette) secessioni può risparmiarsi la fatica: l'Italia è già spaccata. Almeno in due. Nord e Sud sono mondi diversissimi, che a volte si odiano, quasi sempre non si capiscono e di sicuro non sembrano appartenere allo stesso Paese. E se si può sorridere di striscioni e cori da stadio come "Garibaldi, perché?", i numeri delle impari opportunità sono serissimi. La classe politica lo sa? Certo, ma proviene quasi esclusivamente dal Nord, visto che al Sud sembrano non fidarsi più dei politici meridionali. In questo libro, Giovanni Floris ci accompagna alla scoperta della penisola che crediamo di conoscere, analizzando le realtà sconcertanti, i dati preoccupanti, le curiosità e gli scandali di una nazione la cui unica gestione unitaria efficiente a volte sembra quella del crimine organizzato. L'Italia che sogna il federalismo e pratica l'evasione, l'Italia che chiede la meritocrazia e cerca le scorciatoie, l'Italia che si sente diversa da sé ma che a se stessa è uguale da 150 anni. E che ha la possibilità di una riscossa, legata a un salto di volontà: rimettere in moto una politica pigra e affrontare riforme coraggiose. L'inno nazionale che cantiamo è stato adottato in via provvisoria nel 1946. Forse è ora di rendere definitiva, e soprattutto operativa, l'unità d'Italia.
In Italia, il pezzo di carta più utile non è un titolo di studio, ma una lettera di raccomandazione. La prevalenza della spintarella non è folklore o semplice malcostume: soffoca la meritocrazia, blocca la mobilità sociale e dà fuoco alle polveri della guerra tra generazioni. Tra inchiesta, denuncia e resoconto di vita vissuta (e lavorata), questo nuovo libro di Giovanni Floris non risparmia le stoccate polemiche: contro la generazione del '68, ex rivoluzionari bravissimi a occupare posizioni di potere e a non mollarlo più; contro il mito dell'efficienza del settore privato (che in realtà è stagnante quanto quello pubblico); contro la sinistra stessa, incapace di comprendere che il ritorno della meritocrazia dovrebbe essere la chiave della sua azione politica. Per impedire che chi nasce ricco continui ad arricchirsi, mentre i poveri muoiono poveri.