Esplorare la geografia degli insediamenti ebraici in Italia significa percorrere quasi duemila anni di storia, imbattendosi in presenze ora sradicate per sempre, ora interrotte ma ripristinate dopo secoli, ora rimaste quasi immutate. Si comincia con le giudecche, i quartieri aperti dove gli ebrei si mescolavano ai cristiani, senza limitazioni, per arrivare ai ghetti, ovvero i quartieri chiusi da mura e portoni in cui gli ebrei vissero la loro separatezza fino ai tempi moderni.
Un'antica casa medioevale ormai degradata, un vasto cortile rinascimentale. È qui che il 16 ottobre del 1943 i nazisti arrestano più di trenta ebrei, un terzo dei suoi abitanti, tra i più poveri della Comunità. Sono per lo più vecchi, donne e bambini. Altri quattordici saranno catturati nei mesi successivi. Questa è la storia degli abitanti della Casa e dei nove mesi segnati per gli ebrei romani da oltre duemila deportazioni. Sono presi per strada, nel quartiere del vecchio ghetto da cui non si sono allontanati, nelle stesse case in cui sono tornati, nei negozi, perfino al bar. Li arrestano soprattutto i fascisti, le bande autonome dipendenti direttamente da Kappler mosse dall'avidità della taglia, guidate dalle delazioni delle spie. Tutto può accadere: sono l'avidità e la crudeltà la norma della spietata caccia all'uomo. Quando le spie indicano gli ebrei alle bande, un carrozzone si avvicina per far salire gli arrestati, liberarne alcuni, mandarne altri a morte, a seconda della convenienza e del capriccio. L'arbitrio era re nella Roma di quei mesi. Intorno, il caos più tremendo, nessuna forma di organizzazione, il vuoto, i bombardamenti, la fame, i rastrellamenti, le fosse Ardeatine. Il quartiere è il teatro di questa caccia infinita, un teatro che attira come una calamita i suoi abitanti e i cacciatori, che conoscono le loro prede e sanno come e dove trovarle.
«Il Novecento che racconto comincia dal 1880 circa e finisce con gli anni Settanta del Novecento. Si apre con l'emigrazione in America e si chiude con la perdita d'importanza dell'Europa e l'affermarsi sempre maggiore del mondo ebraico americano e di Israele. Due significativi momenti di cambiamento che riguardano gli ebrei tutti.»
Un libro importante per metodo e contenuti, un appassionante excursus che parte dall'ultimo ventennio del XIX secolo e accompagna l'esperienza ebraica fino ai tempi più recenti. Anna Foa dimostra lucidamente quanto la Shoah, che pure tutto travolge, sia qualcosa di ‘alieno' all'esperienza ebraica, a quella sua ricchezza e complessità di cui il '900 è testimone non meno che dell'orrore.
Elena Loewenthal, "Tuttolibri"
Uno stile avvincente. Anna Foa racconta la storia della nuova identità ebraica che si forma nel confronto con la modernità, un'identità ricca di sfaccettature e di aspetti imprevedibili che ancora attende di essere compresa e compiuta.
Lucetta Scaraffia, "Corriere della Sera"
Il Novecento che racconto comincia dal 1880 circa e finisce con gli anni Settanta del Novecento. Si apre con l’emigrazione in America e si chiude con la perdita d’importanza dell’Europa e l’affermarsi sempre maggiore del mondo ebraico americano e di Israele. In questo arco di tempo il mondo ebraico muta e la diaspora europea tende a scomparire nei numeri, nella forza culturale, nell’identità, nel progetto. L’emigrazione in America, il sionismo, la rivoluzione russa, la Shoah, la nascita di Israele: le cesure che costellano il Novecento ebraico sono altrettanti passaggi epocali per la storia di tutti. Nel corso del secolo, a partire dalla fine dell’Ottocento, gli ebrei esprimono una forza simbolica travolgente, inedita, alimentata non solo dall’antisemitismo e dalla persecuzione, ma dall’essere stati al tempo stesso artefici di una straordinaria creatività e oggetto del più radicale degli annullamenti. E ancora, dall’essere stati un intreccio tra la volontà di essere uguali agli altri e una durevole percezione di sé come identità sul confine. Nella realtà di oggi, cosa resta di questa storia? Quanto ne è stato distrutto irrimediabilmente dalla violenza, quanto ne è stato logorato poco a poco dal volger del tempo?
Il volume raccoglie undici storie, vere e documentate, che tentano di dar voce al non detto e all'immaginazione. Nella Roma papale fra Quattro e Seicento, la Roma della costruzione dello Stato della Chiesa e poi della Controriforma, queste storie rappresentano il rapporto fra il potere e la repressione: censure, processi, difese e accuse, esecuzioni, pentimenti. Ma sono anche spaccati della politica e della cultura del tempo: dalle scelte della Compagnia di Gesù, a quelle della Chiesa sui rapporti con la minoranza ebraica, riflesse nel racconto di Marcello II e Alessandro Farnese.
Il volgere del nuovo secolo, il passaggio delle generazioni, la difficile elaborazione del lutto della Shoah, insieme alle domande che nascono dalla crisi mediorientale, ci portano ad interrogarci sulle radici europee dell'identità ebraica. Questo libro racconta sei secoli di storia degli ebrei in Europa, dal Trecento fino alle soglie del Novecento: una storia che è quella degli ebrei dell'Occidente cristiano, delle condizioni della loro esistenza, dei rapporti con la cultura esterna, di esilio e migrazioni, chiusura nei ghetti e vitalità sociale e culturale.