«Il rientro temporaneo di Gian Galeazzo in Italia, nel novembre del 1570, per prendere possesso del feudo di Colorno dopo la morte del cognato Gian Francesco Sanseverino, offriva un'occasione insperata per acciuffare un frequentatore assiduo della corte francese e per servirsi di lui onde raccogliere indizi ed elementi di prova relativi alle connivenze di Caterina con gli aderenti alla "settaµ ugonotta» La notte del 4 novembre 1570, su ordine di Pio V, Gian Galeazzo Sanseverino viene fatto prigioniero nel suo feudo di Colorno e carcerato nelle prigioni dell'Inquisizione a Roma con l'accusa di eresia calvinista. Quali sono le vere ragioni di questo arresto? Quali lotte di potere cela? Sulla base del processo conservato nell'Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede e di una ricca documentazione - per lo più inedita - il libro ridisegna la vicenda, solo parzialmente nota, del condottiero al servizio della monarchia francese durante le guerre di religione e delinea le anomalie di un processo a un uomo d'arme, che suscitò grande scalpore in Italia e in Francia. Le deposizioni dell'imputato e dei testimoni mettono in luce le rivalità per le cariche militari, i tentativi dei Valois di sanare la frattura religiosa del Regno, l'odio dei francesi verso gli italiani, ma anche la litigiosità e la violenza dell'aristocrazia padana.
«Una brillante sintesi dei meccanismi attraverso cui la chiesa cattolica esercitava il suo potere sui fedeli» Nuccio Ordine Per quanto gli indici romani dei libri proibiti del Cinquecento registrino un numero esiguo di autori e di opere letterarie, gli interventi sulla letteratura di svago furono molto ampi. Pareva ai censori che gran parte delle opere dei più diversi generi - dalla novellistica, al romanzo cavalleresco, al poema biblico, alla satira - fosse caratterizzata da anticlericalismo, o lascivia e oscenità, o commistione tra sacro e profano, tra pagano e cristiano. Il libro ricostruisce i meccanismi che portarono alla distruzione di un vastissimo patrimonio culturale, alla manipolazione di opere attraverso l'espurgazione, a profonde trasformazioni di interi generi letterari, ma anche alla prassi sempre più diffusa tra gli autori dell'autocensura. Se lo scopo di quest'azione repressiva era la moralizzazione dei fedeli, non vi è dubbio che, unita alla rimozione della Sacra Scrittura e dei libri di contenuto biblico in volgare, alla liturgia e alla recita delle preghiere in latino, essa consentì alla Chiesa di esercitare più facilmente il suo potere sulle menti e sulle coscienze riducendo i fedeli allo stato di «minorenni perpetui».
Barbara Sanseverino Sanvitale, contessa di Sala, signora di Colorno (1550-1612), fu per bellezza e spirito fra le donne più ammirate del suo tempo. «Donna, per cui Amor trionfa e regna», come la celebrò Torquato Tasso, fu cantata dai poeti e ricercata dalle corti dove era «il condimento di ogni passatempo» grazie alla sua inclinazione al divertimento. Fu organizzatrice instancabile di feste che sconfinavano spesso in incontri licenziosi, da lei stessa favoriti. In pari tempo fu lungamente impegnata in complesse controversie soprattutto circa l'amato feudo di Colorno, per il quale si scontrò con l'ambizione di incamerarlo del duca di Parma Ranuccio Farnese. Nel 1612 finì per rimanere implicata in una congiura di altri nobili parmensi avversi alle mire del duca, e come loro arrestata, processata e infine giustiziata.
Figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, Clelia (1557-1613) sposa nel 1571 Giovan Giorgio Cesarini, gonfaloniere del Popolo romano. Sullo sfondo di una Roma festaiola quanto violenta, cinica e spregiudicata, la bellissima Clelia si muove tra un marito che la tradisce e un padre deciso a servirsi di lei per le sue aspirazioni alla tiara. Riuscirà a piegare questa figlia caparbia e indomita solo facendola sequestrare e rinchiudere nella Rocca di Ronciglione. Costretta a sposare in seconde nozze il marchese di Sassuolo, nel 1587 Clelia verrà "esiliata" nel feudo padano, da dove farà ritorno a Roma solo dopo l'assassinio del marito (1599). La storia di una donna ribelle e affascinante, un eloquente ritratto della corte papale e dell'aristocrazia romana negli anni della Controriforma.
Quello qui affrontato è un tema di enorme rilevanza nella storia della Chiesa e in generale dell'Italia moderna. Il saggio disegna infatti la parabola che ha portato la Chiesa della controriforma a proibire la lettura personale delle sacre scritture, un atto che ha molto influito sulla spiritualità cattolica, e contribuito ad approfondire la divisione fra Europa cattolica e protestante, facendo sì che tuttora gli italiani non leggano la Bibbia. L'autrice studia l'atteggiamento della Chiesa italiana rispetto alle traduzioni della Bibbia fra il 1471 (anno della prima edizione in volgare) e la definitiva condanna ai primi del Seicento. Nel corso del Cinquecento, di pari passo con la minaccia luterana, crescono le riserve sull'uso democratico della scrittura, che giungono alla proibizione con gli indici promulgati tra il 1559 e il 1596.
Figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese, Clelia (1557-1613) sposa nel 1571 Giovan Giorgio Cesarini, gonfaloniere del Popolo romano. Sullo sfondo di una Roma festaiola quanto violenta, cinica e spregiudicata, la bellissima Clelia si muove tra un marito che la tradisce e un padre deciso a servirsi di lei per le sue aspirazioni alla tiara. Riuscirà a piegare questa figlia caparbia e indomita solo facendola sequestrare e rinchiudere nella Rocca di Ronciglione. Costretta a sposare in seconde nozze il marchese di Sassuolo, nel 1587 Clelia verrà "esiliata" nel feudo padano, da dove farà ritorno a Roma solo dopo l'assassinio del marito (1599). La storia di una donna ribelle e affascinante, un eloquente ritratto della corte papale e dell'aristocrazia romana negli anni della Controriforma.
Il tormentato passaggio dal Rinascimento alla Controriforma avrebbe condizionato, oltre alla vita degli individui, anche gli assetti politici, la società e la cultura della penisola, contribuendo nel lungo periodo a costruire, nel bene e nel male, la nostra fisionomia identitaria. Le trasformazioni epocali del Cinquecento italiano sono il filo conduttore delle indagini storiche di Gigliola Fragnito, che il volume ricapitola mettendone in risalto al tempo stesso la ricchezza e la lunga coerenza. Organizzato secondo i temi forti delle istituzioni ecclesiastiche, delle corti cardinalizie romane, del dissenso religioso, del rapporto fra i letterati e la Chiesa e da ultimo della censura, "Cinquecento italiano" offre così, in un percorso fra religione, cultura e potere, un'illuminante e originale lettura di quell'evoluzione del cattolicesimo romano e della sua presa sulla società che impronta di sé l'ingresso dell'Italia nell'età moderna.
Facendo seguito al libro "Bibbia al rogo", il libro di Gigliola Fragnito docente di Storia moderna nella facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Parma - indaga la politica messa in atto dalla Chiesa della Controriforma contro l'uso religioso della lingua volgare. L'imposizione del latino, incomprensibile ai più, accompagnata dall'eliminazione di testi che dal tardo medioevo nutrivano la pietà degli uomini e donne di ogni ceto, finì con l'allontanare gli italiani da un'esperienza consapevole di fede e da un approccio individuale alla conoscenza di Dio, con conseguenza ancora da valutare sul processo di alfabetizzazione.