L'eresia pauliciana, fondata nel VII secolo in ambienti di cultura armena, fu un movimento religioso e protestatario, assimilato dai loro nemici alla detestata setta manichea e al Manicheismo, una religione dualistica che le leggi romane giudicavano empia e politicamente sospetta, legata com'era all'ambiente culturale mesopotamico e persiano, ossia all'area controllata dall'arcinemico stato sasanide. Dopo la persecuzione antipauliciana scatenata dai cattolici ortodossi, i seguaci di Paolo scelsero la via militare della ribellione, nei convulsi anni della crisi iconoclastica. Tale secessione religiosa e politica, unica nella storia di Bisanzio, fu un drammatico problema risolto con un potente sforzo militare da parte dei Romei, ossia dei Bizantini, veri discendenti dei romani imperiali. La deportazione dall'Anatolia Orientale in Tracia (Plovdiv) di decine di migliaia di pauliciani accese focolai di eresia a poche centinaia di chilometri dalla capitale Costantinopoli. Dualismo mitigato, probabilmente di derivazione marcionita, il movimento religioso divenne materia di studio e di meditazione per la cultura dei riformati, che vedevano nel paulicianesimo una riforma prima della riforma; mentre divenne per il cattolicesimo terra di missione, a partire dal XVI secolo, quando le superstiti comunità eretiche di Bulgaria (con al centro Plovdiv) decisero gradualmente di abbracciare la fede cattolica romana. Aperta è la discussione sulla influenza operata dai pauliciani sugli aleviti e su altre manifestazioni della spiritualità anatolica islamica o (para)islamica.