Perché la filosofia, e più in generale l'attività intellettuale "ufficiale", sembra sempre meno capace di interpretare il nostro tempo? La nostra cultura è dominata da due diversi atteggiamenti, entrambi sbagliati: da una parte, c'è chi tende alla schematizzazione, col rischio di perdere la ricchezza del reale; dall'altro c'è la concretezza, l'attenzione al caso singolo, alla specificità di ogni situazione, col rischio di rinunciare a ogni possibilità di categorizzazione ma soprattutto col rischio di mitizzare l'autenticità. Il tao è il possibile strumento di mediazione fra questi due estremi. L'atteggiamento taoista è infatti un atteggiamento che privilegia la passività e la pazienza - l'una ci evita di sovrapporre alla realtà i nostri schemi interpretativi, annullandone la ricchezza, l'altra ci evita di cadere nel mito della felicità a buon mercato, dell'illuminazione subito, delle esperienze turistico-interiori della New Age ecc. ecc.
In un saggio che si legge come un romanzo, uno psicoanalista e musicista ci accompagna con un linguaggio semplice in territori evocativi del nostro funzionamento mentale: i modi per cui una musica ci fa pensare qualcosa senza che possiamo dirlo con le parole; i meccanismi grazie ai quali un profumo innesca irresistibilmente un ricordo; o gli schemi profondi per cui una fantasia, un paesaggio o una melodia ci mettono in moto la mente.