Con le composizioni musicali di Andrea Basevi ispirate alle immagini di Tullio Pericoli ascoltabili tramite QR code. Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia delle sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta «come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione». Tullio Pericoli ha letto e annotato a margine questo grande testo, vero 'generatore di immagini' che respirano la stessa pace e lo stesso spirito del semplice pastore Elzéard Bouffier. Questo libro è l'evoluzione del suo percorso creativo, che negli anni ha reso essenziale, definitiva, la sua visione dell'opera.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta «come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione». Età di lettura: da 10 anni.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta "come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione". Presentazione di Franco Tassi, con una nota sull'autore di Leopoldo Carra. Età di lettura: da 10 anni.
È il 1843. La sparizione improvvisa di due persone a distanza di tempo sconvolge la quiete di un paesino sperduto fra le montagne dell'Alto Delfinato. Il capitano Langlois, ex combattente e reduce della campagna d'Algeria, viene mandato a indagare. In breve tempo scopre i cadaveri degli scomparsi e si mette sulle tracce dell'assassino. Ma è qui che comincia il vero "giallo", il mistero che troverà soluzione soltanto nelle ultime righe del romanzo. Ed è qui che le parti si rovesciano, e oggetto dell'indagine diventa lo stesso Langlois: perché si ostina a ripetere che quell'uomo - l'assassino - non è un mostro? Come ha fatto, prima ancora di arrivare a incastrarlo, a comprenderlo così a fondo? In quella vicenda lontana, in quella storia di sangue che poteva sembrare destinata a offrire soltanto qualche ora di "distrazione" a dei comuni, normali lettori, c'è qualcosa che ci tocca, che ci coinvolge profondamente. È questo il punto, il senso dell'indagine: quanto è grande la distanza che separa l'essere normale dal mostro? Introduzione di Pietro Citati.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta "come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione". Presentazione di Franco Tassi, con una nota sull'autore di Leopoldo Carra. Età di lettura: da 10 anni.
È la metà del Novecento, in un piccolo borgo della campagna francese: la servitù al castello di Percy trascorre la notte a vegliare il defunto padrone e, come puntualmente accade in quest'angolo sperduto della Francia, a banchettare e a sparlare liberamente. Tra sussurri e imprecazioni, allusioni e pettegolezzi, spicca la voce di Thérèse, ottantanove anni, un marito e tre figli ormai persi, tre nuore che detesta e dei nipoti che la lasciano indifferente. La sua vita è stata una lunga catena di eventi da raccontare e di personaggi da rievocare, perfetti per una fredda e lunga notte di veglia... Tutto comincia nel lontano 1882 quando Thérèse fugge col maniscalco Firmin dal castello di Percy. Vi era arrivata ragazza, poiché la madre desiderava per lei un'educazione pari a quella di una zia che sapeva ricamare, stirare e rammendare la biancheria fine. E certamente sarebbe diventata come la zia dalle mani di fata se non si fosse invaghita di Firmin. Ai suoi occhi un bell'uomo, robusto e gentile come una ragazza, e a quelli della sua famiglia un povero orfano senza arte né parte e maniscalco per modo di dire, visto che si limitava a tenere ferme le zampe dei cavalli mentre il padrone li ferrava. La fuga si risolve nel solo modo possibile alla fine del XIX secolo: un matrimonio celebrato in silenzio e l'approdo in un nuovo paese: Chàtillon, dove Firmin trova lavoro presso il locale maniscalco e Thérèse in una grande locanda.
Durante una delle sue passeggiate in Provenza, Jean Giono ha incontrato una personalità indimenticabile: un pastore solitario e tranquillo, di poche parole, che provava piacere a vivere lentamente, con le pecore e il cane. Nonostante la sua semplicità e la totale solitudine nella quale viveva, quest'uomo stava compiendo una grande azione, un'impresa che avrebbe cambiato la faccia della sua terra e la vita delle generazioni future. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare che racconta "come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione". Tullio Pericoli ha tradotto questa storia in immagini che respirano lo stesso spirito del semplice pastore Elzéard Bouffier.
Un bambino e suo padre tutte le domeniche fanno una passeggiata in campagna. Ma le siepi di biancospino e gli alberi ostruiscono la vista del bambino che vorrebbe vedere le stesse cose che vedono gli uccelli che passeggiano nel cielo. Il bambino è bravo ad arrampicarsi e conquista la cima di un albero ma anche questo non gli basta. Vuole più spazio. I colori, i profumi, le geometrie dei campi coltivati, la lentezza del volo degli uccelli, i ritmi placidi della vita contadina nella prosa limpida e splendente di Giono.
In questo vibrante e poetico scritto, troviamo nella sua forma più limpida e completa il pensiero morale che sottende a tutta l’opera: la superiorità della natura sulla tecnologia, la salvezza dell’uomo attraverso un lavoro naturale, la celebrazione dell’individualismo spinto fino all’anarchia.
Scritto alla vigilia del secondo conflitto mondiale, questo accorato appello costituisce un tentativo disperato da parte di Giono di opporre le armi della semplicità, del buon senso e della poesia a un mondo che stava evidentemente prendendo la direzione opposta: quella del profitto e della guerra. L’appello, com’è ed era ovvio, non fu ascoltato. Rilette a più di mezzo secolo di distanza, le parole che Giono indirizza ai suoi 'amici' fanno pensare a una grande occasione perduta, nell’ultimo momento in cui forse era ancora possibile non compiere la svolta che avrebbe cancellato per sempre il modo di vivere, la cultura e la saggezza dei contadini.
Mai come oggi questo scritto di Giono si presenta attuale e urgente, se è vero che non è mai troppo tardi, e che nella mente e nelle mani dell’uomo non esiste solo il potere di distruggere, ma anche quello di crearsi la felicità.