A quattrocento anni dalla nascita, il romanzo di Bruna Peyrot e Massimo Gnone ripercorre, integrando alcune fonti storiche, la straordinaria vicenda, a metà tra mito e storia, del montanaro-condottiero Giosuè Gianavello che con strategica ostinazione lottò in difesa delle "eretiche" comunità valdesi del Piemonte dalle persecuzioni armate dei Duchi di Savoia. Piccolo proprietario contadino con il ruolo di anziano di chiesa nel Concistoro di Rorà, in val Pellice, nel Piemonte occidentale, Giosuè Gianavello si trasformò lentamente in «bandito» sia in quanto si batté in difesa delle popolazioni valdesi vessate dai Savoia sia, rispetto alla sua stessa comunità, in quanto il suo esilio fu lo scotto per una pace dopo cento anni di persecuzioni. Convinto credente e abile stratega, uomo comune ed eccezionale a un tempo, la sua vicenda illustra la complessità di un periodo storico - la seconda metà del Seicento, il «secolo di ferro» - in cui le Valli valdesi, a un tiro di moschetto da Torino, erano diventate territorio disputato dalle potenze dell'epoca, prima tra tutte la Francia del re Sole.