Denaro e paradiso è il dialogo lucido e appassionato tra un intellettuale curioso e un economista non accademico sulle possibilità di applicazione in economia della morale cattolica. Questa, lungi dall’essere contro il capitalismo o le leggi di mercato, rappresenta un potenziale vantaggio competitivo, da esaltare piuttosto che da reprimere, perché permette all’uomo di realizzare integralmente se stesso secondo la propria libertà.
Attraverso una riflessione che spazia dai grandi principî alle forme concrete assunte dai rapporti economici nel corso della storia umana, i due autori tentano una riconciliazione, in un periodo di globalizzazione e di crisi mondiale, tra morale e mercato, mostrando i benefici che ne possono derivare: la morale può rendere più efficace il mercato, senza che l’economia e la ricchezza ostacolino una vita pienamente cristiana.
GLI AUTORI
Ettore Gotti Tedeschi è stato nominato dal card. Tarcisio Bertone, nel settembre 2009, Presidente dello IOR. È anche consigliere economico del ministro del Tesoro, consigliere della Cassa Depositi e Prestiti, presidente del Fondo italiano per le infrastrutture F2i, presidente di Santander Consumer Bank e docente all’Università Cattolica. È inoltre editorialista dell’«Osservatore Romano» e del «Sole 24 Ore».
Rino Cammilleri è autore, presso i maggiori editori nazionali, di una trentina di libri, alcuni dei quali tradotti in più lingue. La sua produzione spazia dalla narrativa alla saggistica. In quest’ultimo ambito ricordiamo Gli occhi di Maria, scritto con Vittorio Messori, e, editi da Lindau, Dio è cattolico? e Antidoti. Tiene rubriche su «Il Giornale» e sul mensile «Il Timone». Il suo sito Internet è: www.rinocammilleri.com.
DAL LIBRO
Che cosa è questa globalizzazione di cui si parla tanto?
Globalizzazione vuol dire innanzitutto liberalizzazione. Questa può riguardare i mercati, riferendosi perciò alla libera circolazione delle merci, dei capitali e degli uomini, implicando in tal modo la caduta di ogni barriera. In quanto tale è figlia del capitalismo. Ma la liberalizzazione potrebbe anche riguardare la cultura e i costumi, e ciò provocherebbe un'omogeneizzazione fra i popoli, la nascita di una vera «società aperta». In quanto tale essa influenzerà il capitalismo stesso. Caduta di ogni barriera e «società aperta» sono i due sintomi del mondo globale. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo e la rivoluzione industriale, la globalizzazione è la più grande trasformazione economica e sociale mai avvenuta, le cui implicazioni ancora sfuggono, sono contraddittorie e non sufficientemente comprese.
Da un punto di vista più politico essa è stata una conseguenza della fine della guerra fredda; da un punto di vista economico essa è stata accelerata dai grandi investimenti tecnologici che si sono trasferiti dalla difesa al mercato. In sintesi, la fine della contrapposizione USA-URSS ha reso inutili i muri-barriere reali e virtuali e ha reso disponibili le risorse finanziarie e tecnologiche per una pacifica guerra di mercato.
E le sue radici culturali?
Per alcuni dette radici stanno nei principi di fratellanza universale, uguaglianza e libertà (di spirito illuministico); per altri stanno invece nello spirito di progresso insito nell’uomo, che è orientato all’universalizzazione. Io credo che le radici stiano nella capacità dell’uomo di agire quando è libero di farlo.
Quali sono i meccanismi della globalizzazione?
I meccanismi sono politico-economici. La caduta del muro di Berlino (o, meglio, la fine del comunismo) sancisce il trionfo di un modello economico e sociale che, senza più ostacoli, confini e barriere, cerca di imporre un modello liberista che promette benessere e quindi pace a tutto il mondo, Paesi poveri per primi, grazie alle capacità tecnologico-produttive disponibili (che sono frutto, anche, delle ricerche per la difesa, in particolare il cosiddetto «scudo stellare»). Per realizzarlo si chiede l’apertura dei mercati, la fine delle regolamentazioni, dei protezionismi, degli Stati imprenditori. Garanzia implicita che si fa sul serio è la logica dell’economia di massa che vuole tutti provvisti di potere d’acquisto omogeneo: in pratica, lo sfruttamento è finito, la tecnologia permette di farne a meno; apriamo le porte alla globalizzazione e tutti staranno meglio.
In Europa questo processo è stato avviato (curiosamente, proprio da governi di centro-sinistra) ridimensionando il ruolo degli Stati in economia (privatizzazioni, fine dello Stato sociale…) e sottraendo loro molte funzioni, poi accentrate in organismi europei dopo aver varato la moneta unica.
I Paesi poveri per ora ottengono, mancando le risorse finanziare nei Paesi ricchi, molte promesse. Ma devono accontentarsi di molte visite di delegazioni e di sapere che staranno meglio solo se ridurranno la loro natalità. In compenso i Paesi ricchi cominciano ad assorbire la loro manodopera onde equilibrare gli scompensi di popolazione prodottisi negli ultimi trent’anni.
L’auspicato processo di globalizzazione ha subito una battuta d’arresto con l’attentato alle Torri gemelle di New York nel settembre 2001, un evento che ha peggiorato la crisi economica già in atto e ha creato lo spettro del terrorismo globale. A seguito di questo attentato gli USA hanno fatto la guerra all’Iraq, guerra che li ha divisi da gran parte dell’Europa, rischiando di creare problemi allo stesso processo di unione europea. Gli USA sembrano voler decidere (come sempre è accaduto dopo crisi con gli europei) nuove alleanze con Russia e Cina per accelerare il processo di globalizzazione in queste aree. Nel vertice di Cancún del settembre 2003, USA ed Europa si sono ritrovate unanimi, questa volta contro i Paesi poveri che vorrebbero poter esportare i loro prodotti agricoli dove ci sono i soldi per comprarli, cioè da noi, mentre noi, per proteggere i nostri agricoltori, imponiamo dazi. Sempre nel settembre 2003 noi europei ci siamo ritrovati d’accordo con i cugini americani nel lamentarci della competizione cinese che mette in difficoltà le imprese occidentali, dimenticando che molti prodotti importati dalla Cina sono fatti da imprese occidentali là operanti. Ma il principio della globalizzazione non doveva essere l’apertura dei mercati, la fine di barriere e protezioni? Il beneficio della globalizzazione non doveva risiedere nel vantaggio di più bassi costi grazie alle importazioni di beni da chi può vendere a minor prezzo? Bene, da questo paradosso si comprende che i principi sono una cosa e le attuazioni un’altra.
La superiore efficienza del sistema di mercato sembra trovare sempre maggiori consensi. Ma il mercato - si sostiene spesso - deve essere emendato e corretto: bisogna mettere le briglie agli spiriti animali del capitalismo "selvaggio". Questo libro prende una direzione molto diversa. Proprio l'economia di mercato, al suo massimo grado di libertà, può assicurare benessere e crescita. In particolare, i tentativi di proteggere la concorrenza da se stessa - attraverso l'operato delle autorità antitrust - sono pretestuosi e controproducenti. La tesi forte degli autori è che solo una concorrenza affrancata da ogni vincolo, e proprio per questo non selvaggia bensì giusta, è capace di garantire gli interessi di tutti più di qualsiasi intervento moderatore.