"La buona cucina è un agente morale. Per buona cucina intendo la preparazione coscienziosa del semplice cibo quotidiano, non la più o meno talentuosa elaborazione di oziosi banchetti e piatti eccentrici. Il proposito di un libro di cucina è uno e inequivocabile. Il suo unico obiettivo concepibile non può essere che accrescere la felicità degli esseri umani." È sorprendente scoprire che l'autore di queste righe è Joseph Conrad, nella prefazione al libro di ricette pubblicato nel 1923 da sua moglie Jessie. "A capotavola" è intessuto di sorprese simili a questa: perché scruta attraverso la lente della passione gastronomica le vite di una galleria di personaggi straordinari - dalla A del copista arabo Muhammad Al-Baghdadi alla Y dello scrittore cinese Yuan Mei, passando per Pellegrino Artusi, André Michelin, Agatha Christie, Georges Simenon, fino ad Ave Ninchi, Elena di Sparta e Margherita di Savoia. Entrare a far parte del firmamento dell'alta cucina è oggi il sogno di tanti aspiranti "master chef". Ma le storie golose raccolte da Laura Grandi e Stefano Tettamanti ci rivelano come spesso a battezzare ricette, metodi di preparazione e "filosofie" gastronomiche siano stati personaggi che dietro ai fornelli non ci sono mai stati. "A capotavola" è una piccola enciclopedia illustrata - del tutto personale e cosparsa di quei buchi che rendono ottima una buona fetta di groviera - della storia della cucina e, insieme, del mutamento del gusto e del costume, non solo alimentare, attraverso il tempo.
Come prima colazione c'è chi si prepara rognoni di castrato alla griglia, giusto per il piacere avventuroso di avvertire al palato "un fine gusto d'urina leggermente aromatica". È il caso di Leopold Bloom nell'"Ulisse" di Joyce. Altri, meno temerari, non riescono a rinunciare alle dolcezze di brioche, cornetti, miele e marmellate e quanto ricordi la sensualità appagante del latte materno descritta da Maupassant in "Idillio". Il cibo è fra gli argomenti più frequentati nella letteratura di ogni tempo, anzi, i curatori di questo "Sillabario" si spingono a sostenere che non esista romanzo senza qualcuno che, prima o poi, mangi o beva qualcosa, e comunque concordano con Aldo Buzzi quando sentenzia: "lo scrittore che non parla mai di mangiare, di appetito, di fame, di cibo, di cuochi, di pranzi mi ispira diffidenza, come se mancasse di qualcosa di essenziale". In questo libro gli autori con passione, ma senza prendersi mai troppo sul serio, compongono un menu di piatti e letture che attraversa l'arco della giornata, dal primo bicchiere d'acqua del mattino fino alle ostriche e allo champagne delle notti da 'ons vivants'. Sapori, ricette, curiosità, consigli, piluccando qua e là fra le voci del Sillabario o sbafandosele una dopo l'altra, si compie un viaggio concreto e fantastico e si scopre, con emozione, che per sperimentare piaceri profondi, per nutrirsi e saziarsi, può essere sufficiente aprire un libro e mettersi a leggerlo.