Sopravvissute al naufragio che ha travolto, nel tempo, i monumenti sepolcrali di Curia, le iscrizioni poetiche di pontefici e cardinali gettano nuova luce sulla corte dei papi del XIII secolo. Tramandati indirettamente o incisi su lastre oppure su sarcofagi d'epoca classica, i carmi funerari cantano grandezza e meriti del defunto e, insieme, richiamano la vanitas e il contemptus mundi. Dubbia contesa quella tra il titulus e il tumulus, la carica ricoperta in vita e il nulla che segue la morte. Ora la vanitas rapisce ogni speranza, ora, invece, la Romanitas contrasta vigorosamente l'ora breve dell'uomo, sicché la memoria della stirpe illustre dell'estinto si fa eterna come Roma stessa.