La mattina del 16 marzo 1978 Corrado Guerzoni, giornalista tra i più stretti collaboratori di Aldo Moro, telefonò a casa del presidente della Democrazia cristiana. Voleva tranquillizzarlo su alcuni attacchi della stampa, ma gli dissero che era appena uscito. Pochi minuti dopo Moro veniva rapito in via Fani da un commando brigatista che sterminava i cinque agenti di scorta. "La notizia me la diede un mio ex redattore del "Radiocorriere". Ebbi una sensazione di gelo, come se fossi entrato in una stanza ghiacciata". Trenta anni dopo Corrado Guerzoni racconta la vita di Aldo Moro, gli studi giuridici, l'ingresso in politica, il suo percorso istituzionale. E soprattutto si interroga su i motivi di quel rapimento, sul perché non si riuscì, non si volle, salvarlo. "Qualcuno decise che Aldo Moro doveva morire e morire in quel modo stupido e straziante". C'è ancora molto da capire di quel rapimento, sono rimasti tanti punti oscuri. Su alcuni, ora che sono trascorsi trent'anni, dovrebbe essere tolto il segreto di Stato. Altre domande sono ancora senza risposta: quanto contò l'ostilità di Kissinger, quanto quella di una parte della Chiesa, del cardinale Siri in particolare che, informato del rapimento, esclamò: "Ha avuto quel che si meritava".