La seconda guerra mondiale ha causato circa sessanta milioni di morti. Dall'invasione della Polonia fino alla resa ufficiale del Giappone, passando per l'assedio di Leningrado, i bombardamenti sulle città tedesche, gli orrori della Shoah e l'apocalisse di Hiroshima e Nagasaki, ogni giorno in media hanno perso la vita ventisettemila persone. Ma com'è stato possibile che Paesi non troppo diversi per cultura, tradizione militare e sviluppo economico si siano trovati nella condizione di sacrificare milioni di vite, mobilitando risorse e tecnologie per produrre micidiali strumenti di morte e distruzione? Come mai un conflitto iniziato in Europa ha avuto una escalation letale, che l'ha portato ad assumere una dimensione globale? A oltre settant'anni di distanza, sembra ancora difficile rispondere in maniera soddisfacente a queste domande. In questo libro Hanson cerca di dare il proprio contributo a un dibattito che non è soltanto storiografico, ma anche e soprattutto morale. Muovendo la propria indagine dalle cause del conflitto - che, come rammenta, ricadono esclusivamente sulle spalle del nazifascismo - Hanson ne ripercorre le tappe cruciali, concentrandosi sulle battaglie decisive, sugli armamenti sempre più letali, sull'efficacia dei metodi di combattimento, sugli errori e i successi strategici dei comandi supremi, sul ruolo della popolazione civile e dei lavoratori coatti. Ma anche sulla forza economica e la capacità produttiva delle potenze coinvolte, sul peso alla fine risolutivo dell'industria e della ricerca tecnologica. E soprattutto sugli uomini - dai leader ai soldati schierati in prima linea -, su quanti volevano asservire il mondo alle ideologie assassine e alla logica dei campi di sterminio e su quelli che invece vi si opposero. Alla fine, però, un dubbio rimane: forse quei sessanta milioni di morti avrebbero potuto essere evitati se in molti non avessero distolto lo sguardo di fronte alla minaccia nazifascista. Un dubbio che il nostro tempo ci impone di sciogliere.
Nell'aprile del 404 a.C. l'ammiraglio spartano Lisandro condusse finalmente la sua immensa flotta nell'odiato porto ateniese del Pireo, ponendo fine a quella che è passata alla storia come «guerra del Peloponneso». La città di Atene, un tempo potentissima e ora invasa da profughi, ridotta allo stremo dalla malattia, dalla fame e da ventisette anni di guerra, era alla mercé degli spartani. Una fine assolutamente inconcepibile solo tre decenni prima, quando Pericle promise la vittoria della democrazia. Non poteva certo immaginare che la sua patria avrebbe perso 80.000 cittadini per la peste o 500 navi affondate tra l'Egeo e la Sicilia. Come si era potuta verificare una situazione così catastrofica? In questo che è forse il suo lavoro più importante, lo storico militare Victor Davis Hanson risponde concentrandosi – come già Tucidide, la nostra principale fonte sulla guerra del Peloponneso – sul «fattore umano» dello scontro. Come hanno combattuto gli ateniesi sulla terraferma, nelle città, nelle campagne della Grecia? Come è stato questo orrendo conflitto per coloro che vi hanno seminato e incontrato la morte? È così che la sanguinosa guerra civile che 2400 anni fa vide fronteggiarsi quasi tutte le popolazioni di lingua greca ci appare non più come un evento bellico sepolto nelle nebbie di un passato lontanissimo, ma come uno dei combattimenti più feroci della storia, non solo antica, nel quale si alternarono battaglie convenzionali, atti di terrorismo, rivoluzioni, genocidi. Un modello «balcanico» tremendamente attuale che ancora ha molto da dire all'uomo del XXI secolo, se è vero che, come afferma Hanson, «c'è un elemento comune nella guerra, il totale coinvolgimento dell'essere umano, che trascende il tempo e lo spazio».
La supremazia dell'Occidente è ormai da secoli un fatto indiscutibile. Ma a cosa è dovuta? Nel tempo sono stati evocati diversi fattori: razziali, tecnologici, di organizzazione economica, politica, morale... Hanson mette insieme tutto questo ma offre anche una sua provocatoria spiegazione: gli occidentali hanno vinto perché sono più bravi a uccidere. Focalizzandosi sull'aspetto militare della civiltà occidentale, Hanson vede nella guerra un momento privilegiato per studiare il carattere di una società. E se un ruolo importante nel costruire la supremazia bellica dell'Occidente lo hanno certo giocato le tecnologie più avanzate e le tattiche più efficaci, ¡1 fattore cruciale è stato di natura culturale: gli eserciti delle «democrazie in armi», basati su disciplina e organizzazione, ma anche sulla libertà individuale del cittadino, sulla discussione e sull'inventiva, si sono rivelati più efficaci anche contro armate imponenti di semplici «sudditi» come è accaduto per gli antichi Greci contro gli Imperi orientali. Per indagare le ragioni e i modi di questa millenaria vicenda, Hanson racconta con verve nove celebri battaglie, ciascuna esemplificativa di un particolare aspetto della «guerra occidentale», da quella di Salamina nel 480 a.C. all'offensiva del Tet nel 1968, passando per la conquista del Messico da parte di Cortes e le Midway, fino a giungere ai giorni nostri e a gettare uno sguardo sul nostro futuro.