Sono le due domande che dovrebbe porsi il lettore che affronta l'opera di Heschel. Vuole sapere davvero ciò che vuole? Vuole davvero uscire dal disorientamento (non privo di vantaggi come ogni nevrosi) in cui tutti oggi vivono? Ma se desidera chiarezza e dunque libertà, avrà grazie a Heschel tutti gli aiuti possibili. Dovrà però fare i conti precisi con la sua tradizione. Se è ebreo, Heschel potrà inebriarlo d'una sobria ebbrezza rievocando felicità non necessariamente perdute. Ma a chiunque, di qualsiasi tradizione, Heschel porge lo stesso dono e ammaestra comunque nella cosa comune a ogni uomo che sia umanamente compiuto, l'arte di pregare , di congiungere il noto all'ignoto, e da quella premessa la tradizione specifica verrà rischiarata. Così Heschel giunge ad essere universale proprio perché saldamente particolare e insegna a chiunque come debba accogliere Chi lo sta cercando (quaerens me sedesti lapsus), l'essere assoluto che nella sua assolutezza può includere la pateticità dell'amante
In un mondo dominato dalla tecnica, che consuma il tempo per guadagnare spazio, il sabato rappresenta la rivincita del tempo sullo spazio e del sacro sul profano, l'occasione per deporre il giogo della fatica ed entrare in contatto con una dimensione che è presagio dell'eternità. Muovendo da una riflessione sul valore che questo giorno riveste nella cultura ebraica, Heschel affronta con straordinaria competenza teologica, filosofica e letteraria il tema del significato della festa nelle grandi tradizioni religiose. Ma "Il sabato" (1951) non è soltanto un classico della spiritualità del Novecento: è in primo luogo una meditazione offerta a tutti i lettori, credenti e non, sull'importanza di riscoprire il tempo come cuore dell'esistenza, un invito a coltivare l'arte del riposo come armonia tra il corpo e la mente, un'esortazione ad ascoltare il richiamo del trascendente per dissetare vite inaridite dalla frenesia, dal vaniloquio, dai falsi bisogni.