L'autrice di questo libro è al contempo Shahrazad, l'inesauribile narratrice, e la sua analista: attraversa la sua storia e quella dei suoi pazienti tessendo un filo che passa dal dolore per la morte del padre alle vite straziate da lutti e separazioni di chi ha vissuto la guerra da molto vicino. Un filo che, come un blues, passa dal lutto all'amore, dalla morte alla vita, sradicando contemporaneamente tutti gli stereotipi sull'Iran e le donne iraniane. In questo libro provo a "seguire le note del blues, dove c'è musica ma non melodia, dove l'improvvisazione scalza la composizione. Perché anche il blues, come la psicoanalisi, abita i margini: sia l'uno sia l'altra fanno parlare le anime del sottosuolo." Attraverso un viaggio musicale imprevedibile e vivace, fatto di psicoanalisi, autobiografia, attualità e cultura, l'autrice ci mette in guardia dal desiderio di una guarigione completa. È grazie alle ferite, non malgrado le ferite, che la vita merita di essere vissuta.
È possibile praticare la psicoanalisi nella repubblica islamica dell'Iran? Gohar Homayounpour, psicoanalista iraniana formatasi in Occidente, risponde di sì. Tutta la cultura iraniana ruota attorno al racconto. Perché mai, se gli iraniani avvertono con tale forza la necessità di parlare, non dovrebbero essere capaci di libere associazioni? Inizia così una narrazione affascinante, in cui il racconto autobiografico si intreccia con le storie dei pazienti. L'autrice evoca il piacere e il dolore di ritornare nella terra natale e le angosce che assillano lei, per prima, e altri iraniani. Nella narrazione si aprono di continuo scorci che lasciano intravedere le sedute con i pazienti: una celebre artista sogna di essere abbandonata e vuole sedere sulla sedia dell'analista anziché stare sdraiata sul lettino, una giovane donna avvolta nel chador dice la propria vergogna per aver perso la verginità... Prefazione di Abbas Kiarostami. Postfazione di Lorena Preta.