Sotto il vessillo della Guerra santa, grazie alla guida di Berlino e alla longa manus di Costantinopoli, tedeschi e turchi diedero il via nel 1914, mentre la Prima guerra mondiale si preparava a devastare il Vecchio continente, al tentativo di scatenare la rivoluzione nell'India britannica e nell'Asia centrale russa, nonché di rafforzarsi in Medio Oriente. Si trattava di una nuova e più ampia versione dell'antico «Grande Gioco», con il dominio del mondo come obiettivo finale. Raccontato con epici dettagli, Servizi segreti a oriente di Costantinopoli è il resoconto delle imprese, dei complotti, dei fallimenti e dei successi delle spie, dei cospiratori, dei diplomatici e degli avventurieri che vi presero parte nei due opposti schieramenti, in un susseguirsi di eroismi, tradimenti e sacrifici. Un'opera che getta nuova luce sulle ambigue trame delle grandi potenze in questa regione instabile del mondo in cui il «Grande Gioco» non è mai finito.
«Una delle letture più appassionanti ... Non bisogna lasciarsi spaventare dal fatto che siano oltre 600 pagine. Non dirò che lo si legge di un fiato, ma lo si centellina per sere e sere come se fosse un grande romanzo d’avventure, popolato di straordinari personaggi storicamente esistiti e di cui non sapevamo nulla» (Umberto Eco).
«… grande affresco storico sul Grande Gioco, come lo chiamò Kipling, che impegnò inglesi e russi, per buona parte dell’Ottocento, in Afghanistan, in Iran e nelle steppe dell’Asia centrale. Mentre il grande impero moscovita scivolava verso i mari caldi inghiottendo ogni giorno, mediamente, 150 chilometri quadrati, la Gran Bretagna cercava di estendere verso nord i suoi possedimenti indiani. Vecchia storia? Acqua passata? Chi darà un’occhiata alla carta geografica constaterà che i grandi attori hanno cambiato volto e nome, ma i territori contesi o discussi sono sempre gli stessi. In queste affascinanti “mille e una notte” della diplomazia imperialista il lettore troverà l’antefatto di molti avvenimenti degli scorsi anni in Afghanistan e in Iran» (Sergio Romano).
Quando nel 1982, uscì "Alla conquista di Lhasa", molti trovarono semplicemente entusiasmante la rievocazione della corsa, fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, per la conquista di quello che ancora era, nell'immaginazione popolare, il Paradiso Perduto: il Tibet. In effetti le imprese di personaggi come Anne Royle Taylor - che nel 1892 dai teatri dell'East End passò ai sentieri himalaiani, arrivando, a dorso di mulo, a un passo da Lhasa -, o di Maurice Wilson - fermato dalle autorità inglesi in India poco prima di mettere in opera l'ultima fase del suo piano, che prevedeva di schiantarsi con un biplano Gipsy Moth alle falde dell'Himalaya per poi proseguire a piedi alla volta dell'inaccessibile capitale - restano nella memoria. Ma a chi lo sa davvero leggere il racconto di Hopkirk suggerisce anche qualcos'altro, e cioè ad esempio il senso di una credenza antichissima, secondo la quale chi conquista il Tibet conquista, semplicemente, il mondo, oltre alla strana sensazione che le tensioni globali, se accostate a quello che ancora oggi rimane il loro misterioso e segreto epicentro, non siano che epifenomeni marginali.
"Improvvisamente il cielo diventa nero ... e subito dopo la tempesta aggredisce con violenza terrorizzante la carovana. Enormi vortici di sabbia mista a sassi sono sollevati in aria e turbinando colpiscono uomini e bestie. L'oscurità aumenta e strani schianti risuonano fra i ruggiti e gli ululati della bufera ... è un fenomeno che sembra lo scatenarsi dell'inferno". Il deserto del Taklamakan, nel Turkestan cinese, è ancora oggi una meta sconsigliata dalle agenzie turistiche, e per secoli, dal graduale abbandono della Via della Seta in poi, è rimasto uno dei luoghi meno attraversati del pianeta. Finché all'inizio del Novecento, quasi all'improvviso, alcuni fra i migliori - e più visionari - studiosi di cose antiche hanno deciso, tutti insieme, di partire alla scoperta delle civiltà che si dicevano sepolte, e intatte, sotto la sabbia. In questo libro, Peter Hopkirk racconta la storia, ancora una volta semisconosciuta ed emozionante, di come un gruppo di uomini quasi troppo adatti alla parte - per rendersene conto, basta guardare i ritratti di Le Coq, di Aurel Stein o di Paul Pelliot che corredano il volume abbiano sfidato e sconfitto il caldo rovente, il gelo mortale, le tribù ostili, e persino i demoni che la leggenda voleva a guardia dei tesori disseminati sulla Via della Seta. Il risultato è una cronaca accurata e fedele che trasuda, quasi involontariamente, romanzesco ed esotismo.
Davanti al palazzo dell'emiro di Buchara, due uomini in cenci sono inginocchiati nella polvere. A poca distanza, due fosse scavate di fresco, e tutt'intorno una folla sgomenta, che assiste in un silenzio irreale. Non è certo insolito che l'emiro faccia pubblico sfoggio di crudeltà, ma è la prima volta che il suo talento sanguinario si esercita su due bianchi, e per di più servitori di Sua Maestà britannica. La scena non è stata scritta da Kipling, ma è accaduta una mattina di giugno del 1842, dando inizio a una vicenda che in questo libro Hopkirk ricostruisce nella sua fase più avventurosa, allorché gli ufficiali dei servizi segreti zarista e vittoriano valicavano passi fino allora inaccessibili per stringere alleanze con i khan della regione.