Il tema è universale. Forse non c’è tema più universale di questo: che cosa significa per noi umani nascere.
«Il primo e forse il più radicale fallimento della nostra cultura è il fatto di prendere avvio dall'essere umano in quanto tale. Ora, questo nostro essere non corrisponde a un essere vivente, ma a un'idea o a un'entità costruita»
Non ci sviluppiamo dalle radici come una pianta, e non siamo neppure autosufficienti come Dio. Così, siamo gli unici viventi che mancano di un’origine, e ne vanno sempre alla ricerca. Privi di un «essere» originariamente identificabile, dobbiamo assumerci la responsabilità della nostra esistenza e del nostro destino. Come? «In primo luogo, coltivando il nostro respiro, una risorsa che troppo passivamente abbiamo attribuito a un Dio estraneo alla nostra esistenza terrena, sebbene il respiro sia ciò che ci permette non solo di vivere autonomamente, ma anche di trascendere la mera sopravvivenza, di superare il livello della mera vitalità, così da essere in grado di portare a compimento un’esistenza umana. Incaricarci di incarnare la nostra appartenenza sessuata è il secondo elemento che ci rende capaci di adempiere la nostra esistenza naturale, pur trascendendola». La sessuazione compensa l’assenza di radici attraverso la spinta all’unione tra due esseri: «Dove prima non c’era nulla tra loro, se non l’aria, a partire dalla loro attrazione e dalla loro capacità di assumere il negativo della loro differenza nasce il germe di un nuovo essere umano e di un mondo in cui possiamo davvero dimorare». La potenza di pensiero di Luce Irigaray si muove con «con passi di colomba» – direbbe Nietzsche – e vince ogni scetticismo circa l’arditezza di un compito di trasformazione che riparta dall’istanza incondizionata della vita in sé, e non dagli «assoluti sovrasensibili che troppo spesso sono il risultato della nostra incapacità di vivere».
L’intento della Irigaray, nel pieno rispetto della parola che la Chiesa pronuncia sulla Madre di Dio, è quello di parlare a tutti, credenti e non credenti, per avvicinare il lettore a questa figura che, proprio perché pienamente umana, è stata in grado di accogliere e dare carne al totalmente divino. Il centro significante del breve scritto è l’umanità piena di Maria, o meglio, la sua femminilità totale e accolta, il suo essere donna e quindi custode del soffio generativo, del legame profondo tra essere umano e natura che il peccato originale ha spezzato.
Una parola “universale”, che si avvale di molteplici apporti culturali, nella volontà di svincolare Maria da una tradizione che il pensiero moderno tende a considerare mortificante nei confronti del femminile.
PUNTI FORTI
L’indiscussa fama dell’Autrice, che presenta una voce laica, una parola “universale” sul mistero di Maria.
DESTINATARI
Per chi segue il pensiero di Luce Irigaray, ovvero per credenti e non.
AUTRICE
Luce Irigaray (1930) è una filosofa e psicoanalista belga. Formatasi alla scuola psicanalitica di Jaques Lacan è una delle pensatrici più influenti degli ultimi decenni. Ha pubblicato con Feltrinelli, Bollati-Boringhieri e Il Saggiatore. Attualmente vive in Francia.
In questo libro, Luce Irigaray, uno dei più innovativi pensatori del nostro tempo, torna a interrogare il rapporto con l'alterità. Siamo infatti abituati a considerare l'altro come un individuo tra tanti senza dedicare abbastanza attenzione al mondo e alla cultura a cui appartiene. La nostra maniera di vivere l'alterità risulta quindi sottoposta ai nostri propri valori e l'altro, sia esso il nostro compagno o la nostra compagna, un figlio, un amico, un'amica, oppure uno straniero, è avvicinato come un simile. La differenza tra noi è allora percepita in modo esclusivamente quantitativo, non qualitativamente, e questo non favorisce la coesistenza, la pace, l'amore. Dopo la critica nietzcheana alla tradizione culturale dell'Occidente e la decostruzione heideggeriana della nostra concezione della verità, Luce Irigaray, in quanto donna, chiama in causa la validità dei concetti di similitudine, similarità, identità e, perfino, uguaglianza, che stanno alla base della logica occidentale. L'autrice spiega come, prima di cercare la trascendenza in qualche ideale soprasensibile, che non corrisponde alla nostra totale e universale umanità, sia necessario rispettare la trascendenza dell'altro, qui e vicino a noi, cioè la sua irriducibile alterità.
A ispirare l'opera di Luce Irigaray è la ricerca di un futuro più giusto e felice per l'umanità. Lo intravede nella scoperta, teorica e pratica, di una relazione con l'altro nutrita di rispetto reciproco per le differenze, di un rapporto a due che conduce a una globalizzazione possibile e non distruttiva della soggettività individuale e delle culture. Questo libro è un tentativo di ripensare e rifondare la filosofia occidentale, scardinando le tradizioni sapienziali della nostra cultura. Un rifiuto opposto ai tecnocrati del logos che hanno trasformato la saggezza in costruzione razionale e concettuale, appannaggio dei pochi iniziati di circoli intellettuali e accademici. Al centro di questa ricerca filosofica, non gli aspetti mentali o cognitivi, ma uno sguardo concentrato sulla dimensione concretamente intersoggettiva, sull'esperienza umana, sull'elaborazione di un discorso volto al "saper vivere" prima che al "saper morire". Una saggezza che prima di essere parola, sarà toccare carnale, conoscenza del cosmo come corpo e come universo, riconoscimento delle differenze tra individui. Il nuovo filosofo sarà quindi lontano da quello che Irigaray descrive "mediocre compagno di vita: bambino in amore e amante dei bambini più che delle donne".
"Per dare un futuro alla democrazia, si deve rifondarla fino in fondo e, per prima cosa, nella relazione fra l'uomo e la donna dove l'identità naturale non ha ancora raggiunto uno status civile. Cambiare le relazioni fra l'uomo e la donna nella coppia, nella genealogia, in tutti gli incontri privati e pubblici sarebbe un cammino per rendere più democratiche le famiglie culturali, religiose, politiche. Tale via è d'altronde indispensabile per permettere all'Europa di diventare un'Unione fra cittadini e cittadine e non un gran mercato dove ciascuno(a) gioca alla competizione con ciascuno(a). La democrazia che incomincia a due si propone di iniziare la strada, e di scoprire un nuovo alfabeto e una nuova grammatica politici."
In questo volume Luce Irigaray dialoga con Sartre, Merleau-Ponty, Lévinas, e inoltre con Hegel e Heidegger, nell'intento di far emergere nella storia della filosofia occidentale una dialettica dell'intersoggettività fondata sulla differenza sessuale. L'autrice affronta il tema della relazione tra l'uomo e la donna al livello delle percezioni sensoriali e del rapporto con la natura: il corpo e il cosmo.
Questo libro parla d'amore, amore delle donne per gli uomini e degli uomini per le donne, un amore che le donne di oggi sono invitate a rienventare: non più rivendicazioni di uguaglianza e non più separatezza, dunque, ma l'apertura a un rapporto che elimini ogni sfumatura di possesso. Non più "io ti amo", "io amo te", ma "amo a te", dove la "a" indica il riconoscimento di una differenza, di una irriducibilità e anche l'esitazione piena di rispetto di fronte al mistero dell'altro, un silenzio, una rinuncia a ogni forma di appropriazione: è il modello di una nuova forma di rapporto fra i sessi e di un nuovo modo di amare.