Il pensiero di Jousse, in questo secondo libro edito da LEF, parte da una semplice considerazione: di solito abbiamo l’idea che la scuola autentica consista nello stare tra quattro mura, davanti ai libri. Abbiamo fatto cioè totale “astrazione” della “Scuola delle cose” e non vediamo altro che la Scuola dei Libri. Invece, scrive Jousse, dobbiamo ricordare che è la scuola delle cose che orienta verso il Senso della Vita e verso il Senso del Linguaggio e che essa è parte integrante nella nostra espe- rienza pratica. Fondamentale a questo scopo è quindi il contatto con la terra perchè di essa ci nutriamo, da essa apprendiamo e contemporaneamente la modelliamo con la nostra intelligenza per ottenerne i frutti utili alla nostra sussistenza. Il lavoro della terra riacquista, nelle parole di Jousse, la sua nobiltà, tanto da rivalutare la figura del contadino elevandola a maestro. Maestro per i ragazzi, insegnante per gli insegnanti, che dalla sua mimica, dalla sua azione possono comprendere come appassionare i ragazzi. E’ qui la grande forza della pedagogia contadina che Jousse rivendica con decisione in queste pagine.
Prima edizione mondiale delle memorabili lezioni che Marcel Jousse ha tenuto alla Sorbona negli anni ‘30 e che hanno ispirato le tendenze più avanzate e critiche sulla pedagogia, compresa la radicale visione contenuta nei libri di Ivan Illich “Descolarizzare la società” e “Nella vigna del testo”. Jousse conferma qui con dimostrazioni scientifiche che il bambino prima ancora di imparare a parlare ha in sé la conoscenza dell’universo e la parola non è altro che una forma di riecheggiare i ritmi dell’universo che trova in sé e intorno a sé.
Marcel Jousse (1886-1961), ordinato gesuita nel 1910, si specializza con grandi maestri del calibro di Rousselot (fonetica), Janet et Dumas (patologia), Mauss (etnologia).
Nel 1925 esce la sua tesi di dottorato in psicologia linguistica "Le style oral rythmique et mnémotechnique chez les verbo-moteurs", la cui eco fu eccezionale (da Bremond a Valéry, da Bergson a Blondel). Jousse espone le proprie scoperte sullo stile orale e la memorizzazione davanti ad uditori calorosi all’Istituto Biblico di Roma (1927), all’anfiteatro della Sorbona (1931-1957), alla Scuola di antropologia, dove venne creata per lui la cattedra di linguistica (1932-1950), all’École des Hautes Études (1933-1945).
Tuttavia, a partire dal 1929, Jousse si scontra con le reticenze di esegeti esclusivamente formati ai metodi della filosofia greco-latina. Occorrerà attendere la “rivoluzione” del ’68 per veder rinascere l’interesse intorno alla figura di questo pioniere dell’antropologia. Grazie soprattutto all’opera della sua più fedele collaboratrice, Gabrielle Baron, usciranno per l’editore Gallimard i suoi testi inediti.
Per Jousse l’uomo è gesto e memoria sin dal seno materno, e bisogna riscoprire, tramite il linguaggio di rabbi Yeshua, la continuità della tradizione giudaico-cristiana. I metodi joussiani, oltre a rinnovare la catechesi, rivelano una certa affinità con le analisi etniche di Leroi-Gourhan (Il gesto e la parola, 1965) e letterarie di W.J. Ong (La presenza della parola, 1971).