Questa storia - la storia di Auschwitz - l'hanno raccontata in tanti e in tutti i modi. Il narratore non si sognerebbe nemmeno di farlo a sua volta se non fosse che a un certo punto quegli eventi divengono essenziali perché possa parlare del nonno, e di conseguenza del padre, e di conseguenza di sé. Così ci propone l'ossessione che ha segnato la sua infanzia, la storia che ha sentito raccontare ad nauseam e che a sua volta sembra dover raccontare, come il vecchio marinaio, per spezzare l'incantesimo. Ma Michel Laub è convinto che scrittura faccia rima con tortura e che nella sua composizione (almeno per quel che lo riguarda) entrino in gioco "un 70 per cento di angoscia, ansia ed eventualmente depressione e un 30 per cento di allegria, che può essere così intensa da coprire quel 70 per cento, ma che si avverte solo alla conclusione di un capitolo". Questo originale scrittore brasiliano dichiara di non possedere fantasia creativa, di poter scrivere solo a partire da un nucleo forte di esperienza personale: il suo territorio è il passato, cui attinge per spiegare il presente, per tenere a bada il futuro. "Diario della caduta", memoir frammentario in cui si inseguono brevi e fulminanti capitoli numerati, intreccia memoria storica (di cui Auschwitz è simbolo assoluto) e memoria personale (un episodio di sadismo ai danni di un compagno di classe) in un inscindibile loop.