Christian e Stella sono usciti in mare con un dinghy, una piccola imbarcazione a vela perfetta per il vento forte e teso del Mare del Nord che increspa magnificamente quelle acque cristalline, e spazza chilometri e chilometri di maestose falesie e spiagge di sabbia finissima. Giunti sulla spiaggia dell'Isola degli uccelli, una minuscola striscia di terra in mezzo al mare su cui volteggiano come un turbine bianco centinaia di uccelli marini, i due giovani sono stati sorpresi da un'improvvisa tempesta di vento e pioggia. Christian ha condotto Stella in una baracca rivestita di canne sulla spiaggia, un rifugio dove un vecchio ornitologo è solito andare durante la bella stagione. La porta era ancora appesa sui cardini, sulla stufa di ferro vi erano ancora una pentola e un bicchiere d'alluminio, e al centro un giaciglio fatto di alghe secche e tavole di legno inchiodate. Stella si è messa subito a sedere su quel letto improvvisato, la sigaretta in bocca e una canzone sconosciuta sulle labbra. Bellissima, i capelli neri e gli occhi chiari e splendenti, ha sorriso a Christian e l'ha invitato a sedersi accanto a lei. Christian le è scivolato accanto, le ha posato una mano sulla spalla e, desiderando che quel contatto fisico durasse più a lungo possibile, le ha accarezzato la schiena. Solo allora Stella ha gettato la testa all'indietro e l'ha guardato sorpresa, come se avesse sentito o scoperto qualcosa d'inatteso, qualcosa che non aveva previsto, qualcosa che pensava impossibile.
È il 1953 e nell'aula del riformatorio situato alle foci dell'Elba, non lontano dal confine tra Germania e Danimarca, è entrato oggi un individuo smilzo, profumato di brillantina. Si chiama Korbjuhn, dottor Korbjuhn, ed è entrato con l'aria che i ragazzi rinchiusi nel riformatorio chiamano korbjunesca, cioè sprezzante e timorosa insieme. Il dottor Korbjuhn si è fatto augurare il "buon giorno signore" e, senza preavviso, senza avvertimento, ha distribuito i quaderni dei temi. Non ha detto nulla. Semplicemente, quasi godendo della cosa, è andato alla lavagna, ha preso il gesso, ha alzato una mano insignificante e, mentre la manica gli scivolava fino al gomito scoprendo un braccio secco, giallognolo, vecchio almeno di cent'anni, ha scritto sulla lavagna il tema con la sua scrittura prona, obliqua, l'obliquità dell'ipocrisia. Era intitolato: "Le gioie del dovere". Ora, nel chiuso della sua cella, il giovane Siggi Jepsen sta meditando davanti al suo quaderno dei temi con l'etichetta grigia. Siggi si trova alle foci dell'Elba, perché, nel lontano 1943, avrebbe raccolto in un vecchio mulino una serie di quadri rubati. In realtà, Siggi ha semplicemente nascosto le opere di un pittore amico, Max Ludwig Nansen, un artista espressionista, sulle quali pendeva la minaccia nazista di essere "verboten und verbrannt", proibite e bruciate. Come cominciare quel compito sulle "gioie del dovere"? Da suo padre, poliziotto obbediente agli ordini, a qualunque ordine, nella Germania di Hitler?