Venezia, primo Cinquecento. A pochi decenni dalla rivoluzione di Gutenberg, la città è una stamperia a cielo aperto. Mentre il numero di librai e tipografi è in euforico aumento - la concorrenza si fa feroce e i torchi macinano pagine senza tregua -, si affaccia con urgenza sulla scena il problema della qualità dei testi. Per garantire l'"onore" dei libri pubblicati, gli stampatori si circondano di un fitto pulviscolo di collaboratori: chierici e laici che correggono, limano, "bulinano" scrupolosamente i testi da editare. Vengono detti, appunto, "correttori": oggi si chiamano redattori, editor. Fra tutti spicca Giovan Francesco Valier, chierico veneziano amico di importanti letterati e artisti, dal Bembo a Raffaello, da Bernardo Tasso all'Ariosto che ne parla con gratitudine perfino nell'"Orlando Furioso". Mondano e colto, brillante raccontatore di storie boccaccesche e conoscitore del migliore italiano letterario, il Valier verrà scelto dagli eredi di Aldo Manuzio per intervenire su un libro che diventerà un bestseller, il "Cortigiano" di Baldassar Castiglione. Ma Monsignor Valier, uomo intraprendente e all'occorrenza assai spregiudicato, vanta parecchi contatti anche sul fronte della politica, veneziana e italica. In tal senso coltiva alcune ambizioni pericolose; talmente rischiose che, sullo sfondo di un intrigo internazionale, lo condurranno a una fine tragica e sconvolgente.