Il declino dell'Europa nel contesto mondiale, l'esplosione della popolazione africana, i profondi cambiamenti dei flussi migratori, i diversissimi livelli di riproduttività di paesi ed etnie, la crescita vorticosa dei grandi aggregati urbani: sono tutti fenomeni avviatisi negli ultimi cento anni, che scuotono e modificano i rapporti tra stati e regioni del mondo, e influiscono sulle scelte politiche, con forza e velocità variabili e spesso difficilmente prevedibili. E sono fenomeni che possono essere meglio compresi grazie a uno sguardo più nuovo e più ampio, arricchito dal contributo della geodemografia. Attingendo a un ampio repertorio di casi esemplari tratti dalla storia mondiale recente, il libro illustra questa nuova prospettiva, uno strumento utile per conoscere meglio le relazioni tra paesi e il loro futuro.
All'inizio del Novecento l'Europa comandava il mondo. Il suo impero coloniale era vastissimo e la popolazione cresceva a ritmo sostenuto. La guerra aveva cessato da tempo di decimare le giovani generazioni. Scoperte e innovazioni producevano il miglioramento delle condizioni di vita anche delle masse rimaste in povertà. La natura, che nei secoli aveva disseminato epidemie e carestie, sembrava sotto controllo. Ma nel volgere di trent'anni si succedono due catastrofi immani. La forza distruttiva delle decisioni e delle azioni determinate dalla politica sovrasta la potenza rovinosa degli eventi naturali. I due conflitti mondiali con decine di milioni di morti, le guerre civili, le carestie, le migrazioni forzate, la pulizia etnica e il genocidio sono il frutto avvelenato di azioni politiche e mietono vittime assai più numerose di quelle provocate dai microbi, dal clima o da altri eventi naturali.
La storia dell'umanità è scandita da movimenti continui di genti e popoli, sospinti da una pluralità di motivazioni e circostanze, e con esiti che vanno dal pieno successo al totale disastro. L'autore racconta quindici vicende di migrazione che riguardano il mondo occidentale, Europa e America. Le storie si succedono secondo il diverso grado di libertà individuale che ha determinato la migrazione: dalla sua assoluta mancanza, propria degli spostamenti forzati - come nell'Unione Sovietica della Seconda guerra mondiale - al caso opposto degli spostamenti liberi, dovuti a decisioni individuali o familiari, come avvenne per la grande migrazione che fra Otto e Novecento portò milioni di persone oltre l'Atlantico verso le Americhe. Muoversi e cambiare dimora, terra, patria è una prerogativa umana, che le circostanze storiche non possono sopprimere.
All'inizio del Novecento l'Europa comandava il mondo. Il suo impero coloniale era vastissimo, in Asia, Africa, Oceania. La popolazione cresceva a ritmo sostenuto e la guerra aveva cessato da tempo di decimare le giovani generazioni.Scoperte e innovazioni producevano il miglioramento delle condizioni di vita anche delle masse rimaste in povertà. La natura, che nei secoli aveva disseminato epidemie e carestie, sembrava sotto controllo. Ma nel volgere di trent'anni si succedono due catastrofi immani. La forza distruttrice delle decisioni e delle azioni determinate dalla politica sovrasta la potenza rovinosa degli eventi naturali. I due conflitti mondiali con decine di milioni di morti, le guerre civili, le carestie, le migrazioni forzate, la pulizia etnica e il genocidio sono il frutto avvelenato di azioni politiche e mietono vittime assai più numerose di quelle provocate dai microbi, dal clima o da altri eventi naturali.
Fra una sola generazione la Terra conterà due miliardi e mezzo di persone in più. Il problema è che si tratterà di una crescita assai disuguale: mentre la popolazione dei paesi ricchi rimarrà quasi stazionaria e invecchierà, quella dei paesi poveri raddoppierà o triplicherà addirittura nelle aree più deprivate, come quelle dell'Africa subsahariana, con una forte prevalenza delle generazioni più giovani. In questo quadro Livi Bacci riflette sul cammino del mondo nel XXI secolo, analizzando le implicazioni che uno sviluppo demografico così squilibrato avrà per la stabilità sociale interna ai vari paesi, per le migrazioni internazionali e i rapporti di forza tra le nazioni oltre che, naturalmente, per l'ambiente.
Il primo europeo a conoscere l'Amazzonia fu Pinzón, già capitano della Niña con Colombo, che nel 1500 risalì l'estuario del Grande Fiume. Ma la notizia non destò grande interesse e del Rio Santa Maria del Mar Dulce, come venne inizialmente battezzato, non si parlò più per vari decenni. Fu invece dal Perù che venne il tentativo, alimentato dalla leggenda dell'oro, di esplorare le sconfinate distese a oriente delle Ande. Nonostante le imponenti dimensioni (210 spagnoli, 4.000 indios, 5.000 maiali, 1.000 cani, greggi di lama), una spedizione partita da Quito nel 1541 rimase ben presto intrappolata nella selva, spingendo alcuni a scendere il Rio delle Amazzoni fino all'Atlantico. Vent'anni dopo la stessa impresa fu tentata dal gentiluomo Urzua, ucciso nella rivolta capeggiata dal luciferino Aguirre. La discesa del fiume diventa allora un allucinato dramma grondante di sangue, fino alla morte dell'uomo assurto a torbido mito: angelo del male, ribelle sognatore, folle visionario. Anche di questa oscura ma affascinante vicenda - qui ricostruita nei dettagli - si nutre l'epopea dell'Amazzonia, scrigno di tesori e triste Tropico, miraggio dei diseredati e nemesi degli avidi.
Quali furono le cause e i meccanismi della catastrofe demografica seguita alla scoperta dell'America? La documentazione giunta fino a noi è straordinariamente ricca: conquistadores, religiosi, uomini di legge, funzionari e mercanti scrivevano memorie e rapporti, stilavano atti, svolgevano inchieste, emettevano sentenze. Il mondo indigeno, per parte sua, ha lasciato eloquenti tracce degli eventi e molte testimonianze dirette dello spietato soggiogamento perseguito dagli europei. Facendo parlare queste fonti, Livi Bacci dimostra che il rovinoso declino degli indios non fu la conseguenza inevitabile del contatto con gli europei, ma un risultato cui contribuirono sia i modi della Conquista, sia la natura delle società sottomesse.
In Italia si può essere "apprendisti" fino a trent'anni; appartengono ai "giovani" industriali persone di quarant'anni; sono troppo "giovani" per far parte di élites accademiche studiosi di cinquant'anni; si chiamano "ragazzo" o "ragazza" persone di età matura. Ma nella realtà demografica i giovani sono diventati pochi: compiono oggi vent'anni meno di 600.000 giovani, ma erano 900.000 nel 1990. Pur essendo molti di meno, i giovani italiani percorrono assai più lentamente che in passato - e rispetto ai coetanei europei - le tappe che portano all'autonomia dell'età adulta. Completano gli studi, entrano nel mondo del lavoro, mettono su casa, formano la loro famiglia assai più tardi di prima. Pur vivendo bene, in larga misura grazie alle risorse dei genitori, contano poco nella società, nelle professioni, nella politica, nella ricerca, nelle imprese. Con pochi giovani, scarsamente valorizzati, il nostro paese appare stanco e incapace di slancio, e non all'altezza di uno scenario globale che non fa più sconti a nessuno. Eppure le soluzioni possibili non mancherebbero, intervenendo sul sistema educativo, sul mercato del lavoro, sulla previdenza e - in generale - attuando politiche capaci di smontare la sindrome del ritardo che attanaglia le nuove generazioni.
Massimo Livi Bacci è professore di Demografia nell'Università di Firenze. Tra le sue pubblicazioni con il Mulino: "Popolazione e alimentazione. Saggio sulla storia demografica europea" (II ed. 1993), "Storia minima della popolazione del mondo" (III ed. 2005), "Conquista. La distruzione degli indios americani" (2005), "Eldorado nel pantano. Oro, schiavi e anime tra le Ande e l'Amazzonia" (2008). E' socio dell'Accademia dei Lincei e Senatore della Repubblica.
I Mojos abitavano le sterminate pianure della Bolivia orientale, inondate per molti mesi l'anno, come il Pantanal brasiliano di cui parla Lévi-Strauss. Il regno del Gran Mojo fu a lungo considerato una provincia misteriosa, popolata di genti ricchissime. Un miraggio che a partire dai primi decenni del '500 ossessionò i conquistatori spagnoli, inducendoli a imprese quasi sempre disastrose, durante le quali erano innumerevoli i morti affogati nel mare e nei fiumi, dispersi nelle marce, uccisi nelle battaglie con gli indigeni o nelle lotte intestine, sopraffatti dalla fame e dalle malattie. Intere spedizioni sparirono senza lasciare traccia. La sete di arricchimento alimentava disperate scommesse al buio, un sogno sempre fuggente al di là dell'orizzonte, via via che le esplorazioni procedevano. Partiti alla ricerca dell'oro, gli spagnoli trovarono, beffa crudele della cupidigia, un pantano.
Questa nuova edizione del volume contiene molti aggiornamenti e diversi approfondimenti, necessari per meglio comprendere direzione e conseguenze dei formidabili cambiamenti in corso. Nell'ultimo decennio, infatti, il controllo delle nascite si è rapidamente diffuso, la sopravvivenza è aumentata, la mobilità è stata sollecitata da fortissime spinte; gli abitanti del mondo sono cresciuti di circa un miliardo e tutti siamo un poco più consapevoli dei limiti del pianeta.