Scelti e pubblicati da Mondadori nel 1947, a cura di Lavinia Mazzucchetti, i testi etici e politici raccolti in questo libro furono scritti da Thomas Mann tra il 1922 e il 1945. La silloge si apre con il grande discorso berlinese del 1922 «Della repubblica tedesca» che segna l'approdo di Mann al pensiero democratico, e comprende tra l'altro la lettera al preside dell'università di Bonn che gli aveva tolto la laurea honoris causa, e i cinquantacinque radiomessaggi violentemente antinazisti inviati dall'America al popolo tedesco durante la guerra. Come scrive Giorgio Napolitano nella sua Introduzione, «la riflessione di Mann resta incancellabile - al di là dell'influenza che poté esercitare nel suo Paese prima e dopo essere stato costretto all'esilio -, riflessione che di certo non poté essere tale da salvare la Germania da quindici anni di regressione barbarica. È una lezione che torna ad ammonirci e illuminarci, nelle crisi sociali, culturali e politiche di questo inizio del XXI secolo in Europa».
Adrian Leverkuhn riunisce in sé le doti di Berlioz, Nietzsche e Sconberg. Ha stretto un patto col diavolo per acuire in modo straordinario la sua sensibilità. Dopo aver composto un brano di musica dodecafonica che ha spezzato le leggi musicali tradizionali e ha anticipato i tempi, quando lo presenta agli amici impazzisce.
Sullo sfondo di una Venezia afosa e appestata dal colera, lo scrittore Gustav von Aschenbach, al culmine del successo, incontra Tadzio, un ragazzo di crudele bellezza. Giochi di sguardi di fronte ai quali vacillano la facciata di rispettabilità e il rigore morale dell'anziano scrittore, che s'abbandona all'inesorabile passione. Luchino Visconti, con il suo film, ha reso immortali i volti e le atmosfere del romanzo.
"Faccio iniziare la storia della vita di Giuseppe, il primogenito della graziosa e bella Rachele, intorno al 1400 a.C, quando in Egitto regnavano i due più famosi Amenhotep, III e IV, da cui risulta che Giuseppe non era 'realmente' il pronipote dell'uomo che da Charran in Mesopotamia emigrò per primo nelle terre occidentali, perché Abramo era vissuto seicento anni prima, al tempo di Hammurapi, il legislatore. Ciò non impedisce che il grazioso e bel Giuseppe si ritenesse suo pronipote, perché la difficoltà, fonte di grandissimo diletto, consiste nel fatto che io racconto di uomini i quali non sanno precisamente chi sono, e perciò la coscienza del loro 'Io' si fonda molto meno sulla chiara distinzione del punto in cui, tra passato e futuro, si situa la loro esistenza che sulla identità col proprio 'tipo' mitico..." (Thomas Mann)
"'Giuseppe e i suoi fratelli' non è un romanzo sugli Ebrei, ma un canto allegro e serio al tempo stesso che celebra l'uomo e fa discendere la sua benedizione non solo sul pupillo di Giacobbe, trascinato dalla vita a compiere un apprendistato tanto severo quanto splendido, ma sull'umanità stessa. Ho avuto cura di caratterizzare Giuseppe come una natura d'artista ed è certamente una benedizione quale si conviene a un artista quella che egli riceve dal padre. Il fascino umano che emana la condizione di ogni artista consiste in questa doppia benedizione: quella che discende dall'alto e quella dell'abisso; è il fascino dei sensi che si fanno spirito e dello spirito che diviene corpo; è una dote che discende dal fondamento materno della vita, dalla sfera dell'istinto, del sentimento, del sogno, della passione; ed è dote che discende dalla sfera paterna della luce dello spirito, della ragione, dell'intelletto, del giudizio ordinatore." (Thomas Mann)
"In 'Giuseppe e i suoi fratelli' si è voluto vedere un romanzo sugli Ebrei, anzi per gli Ebrei. La scelta dell'argomento veterotestamentario non fu certo un caso. Essa era senza dubbio in segreta, testarda e polemica relazione con tendenze del tempo che mi ripugnavano visceralmente, con il razzismo giunto in Germania a livelli inauditi, che costituisce una componente fondamentale del volgare mito fascista. Scrivere un romanzo che è una sorta di monumento allo spirito ebraico era attuale, proprio perché appariva inattuale. Ed è vero, il mio racconto si attiene con una fedeltà sempre per metà scherzosa ai dati della Genesi e spesso va letto come esegesi e amplificazione della Torah, come un midrash rabbinico." (Thomas Mann)
"Il terzo 'Giuseppe' per il suo contenuto erotico è la parte più romanzesca di un'opera che nella sua totalità richiedeva di fare del romanzo qualcosa di diverso rispetto a quanto s'intende comunemente. La variabilità di questa forma letteraria è sempre stata molto grande. Ma oggi sembra quasi che nell'ambito del romanzo rientri soltanto quel che non è più romanzo. Forse è sempre stato così. Per quanto riguarda 'Giuseppe in Egitto', nonostante tutta la psicologia, si troverà stilizzato in senso mitico anche l'elemento romanzesco-erotico, il che vale specialmente per la satira sessuale di invenzione fiabesca racchiusa nelle figure dei due nani. 'Giuseppe in Egitto' mi appariva senz'ombra di dubbio o quasi il culmine poetico dell'opera, anche per la riabilitazione in senso umano che mi ero proposto, l'umanizzazione della figura della moglie di Potifar, la storia dolorosa della sua passione per il maestro di palazzo cananeo al servizio del marito tale solo di nome." (Thomas Mann)
Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l'inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell'etica e dell'estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un'opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.
La acción de esta novela transcurre en un sanatorio de tuberculosos de Zauberberg, que recientemente ha sido noticia por su cierre, donde coinciden dos primos de caracteres muy distintos. Más que los sucesos, el conocimiento con Claudia Chauchat o con una pareja de peculiares y enfrentados pensadores, los pequeños conflictos generados por la convivencia, el goteo constante de fallecimientos, etc., el interés de la novela reside en la perfecta reproducción de la vida interior, afectiva e intelectual, de la amplia galería de personajes que despliega Mann ante los ojos del lector, todos ellos perfectamente individualizados e interesantes por sí mismo.
"La montaña mágica se cuenta entre las diez mejores obras literarias del siglo XX. Esta nueva traducción, coincidiendo con el cicuentenario de la muerte del autor ya ha despertado el interés en todos los sectores ya que incorporta numerosos pasajes desaparecidos en la traducción existente hasta la fecha y mejora muchos aspectos. (ver apartado de noticias para la presentación)
Mann, Thomas
(1875 - 1955), es un clásico indiscutible de la literatura alemana. Hizo del ser humano, condicionado por su contexto político y social, y del conflicto que puede surgir entre la vida y el arte o la inteligencia, el centro de buena parte de su extensa obra narrativa, en la que destacan, entre otros títulos, Los Buddenbrook (1901); Tonio Krôger ( 1903); La muerte en Venecia (1912); La montaña mágica (1924); considerada a menudo su obra más importante, Mario y el mago (1930); Carlota en Weimar (1939); Doktor Faustus (1947); El elegido (1951) y Confesiones del estafador Félix Krull (1954), todas ellas publicadas en la colección Edhasa Literaria. En 1929 obtuvo el Premio Nobel de Literatura, principalmente por su novela Los Buddenbrook, que ha conquistado un reconocimiento cada vez mayor como una de las obras clásicas de la literatura contemporánea. Su propio compromiso con la época que le tocó vivir lo llevó a perder la nacionalidad alemana en 1936. Desde 1933 se exilió de Alemania, con la llegada de Adolf Hitler.