Il filo conduttore del viaggio che Giacomo Marramao intraprende qui attraverso i labirinti della prospettiva moderna è costituito da un tratto paradossale: l'inconcepibilità del tempo fuori del riferimento a rappresentazioni spaziali. Lo spiazzamento che ne consegue non si limita a problematizzare i risultati della "svolta linguistica", perseguiti in forme diverse dagli opposti speculari dell'analitica e dell'ermeneutica, ma investe in pieno le pretese della filosofia di estrapolare una dimensione "autentica" della temporalità in antitesi alla spazializzazione: a cominciare dallo stesso Heidegger, di cui il libro propone una critica teoretica radicale.
Un esperimento insolito e originale forma l'oggetto di questo libro di Giacomo Marramao: la messa a fuoco dei punti d'intersezione tra le genealogie filosofiche e le diagnosi radicali del Potere, del Comando e della Legge fornite, in tempi e contesti diversi, da due grandi scrittori mitteleuropei come Elias Canetti (attraverso un confronto costante con l'opera di Kafka) e Herta Müller (lungo l'asse che collega la figura del Lager alle esperienze di sorveglianza, isolamento e derelizione esistenziale presenti nelle stesse democrazie). Per afferrare il senso delle trasformazioni del potere occorre andare alle radici: all'arche o al principio che l'ha originato come fattore transculturale e trans-storico comune a tutte le società umane. Il potere non può essere soppresso: ogni tentativo di 'superarlo' - sopprimendo questa o quella forma del suo esercizio - non ha finora fatto che potenziarlo. Il potere deve essere, invece, sradicato, sovvertito nella sua logica costitutiva: la logica dell'identità, innervata nell'illimitatezza del desiderio e nella doppia scena paranoica della paura e della morte dell'altro. Tracciare una linea di frattura e di opposizione al potere significa, nel cuore del nostro presente globale, spostare il focus sui soggetti e sulla loro potenza di metamorfosi/rigenerazione. Ma ciò è possibile solo staccandosi dal rumore dell'attualità e riprendendo il filo interrotto di opere solitarie ed estreme.
Secondo Giacomo Marramao, che affronta in questo libro lo straordinario "mutamento di scala" che accompagna i fenomeni politici della nostra epoca, il ricorso alle categorie di "mondializzazione" o "globalizzazione" non ha solo un significato tecno-economico. Siamo di fronte a un passaggio destinato a trasformare tutte le culture, che chiama in causa una riconversione di concetti fondamentali come identità e differenza, contingenza e necessità, nonché, per cominciare, locale e globale. Rispetto a diagnosi apparentemente antitetiche come quelle di Fukuyama (omologazione universale) e Huntington (conflitto delle civiltà), per Marramao è necessario demistificare due false opposizioni: Stato-mercato e Oriente-Occidente. A tale scopo, il libro, tenendo costantemente sullo sfondo la grande discussione sull'"èra globale" avviata fra le due guerre da autori come Spengler, Jünger, Schmitt e Heidegger, sviluppa la sua proposta muovendo dal disincanto della categoria di mercato operato da Polanyi e da una profonda revisione della comparatistica i delle civiltà operata da Weber. L'esigenza - avanzata in conclusione attraverso un serrato confronto con le posizioni di Habermas e di Derrida - di una "politica universalista della differenza" viene formulata in base a un radicale riesame critico delle pretese di universalità delle stesse categorie, tipicamente occidentali, di democrazia e filosofia.
Una sentenza di Hegel assegnava alla filosofia il compito di comprendere il proprio tempo con il pensiero. Secondo Marramao questa responsabilità, caratteristica dell'epoca moderna, non è demandabile oggi ad altri saperi, e tanto meno cedibile a chi si proclama depositario delle risorse di senso. Ma il precetto hegeliano va rideclinato al di fuori di statuti privilegiati e logiche di supremazia: se responsabilità significa "rispondere a" piuttosto che "rispondere di", allora lasciarsi interpellare dal presente comporta intensificare il tenore dialogico della riflessione e dislocarsi come interrogante. Marramao guarda ai transiti accidentati e ai fraintendimenti della mondializzazione, alle sue rigidità identitarie e alle sue patologie temporali, alle sue false alternative e alle sue polarità immobili. Al contempo irrinunciabili e inadeguate, le categorie universalistiche del diritto e dell'humanitas riacquistano forza solo quando sono messe in tensione con le esperienze emozionali del valore e le retoriche all'opera nel racconto di sé, cui va restituito uno statuto concettuale. Dalla singolarità con quanto ha di irriducibile, e non dall'identità nelle sue diverse configurazioni comunitarie, statuali, etniche o linguistiche, occorre partire per delineare una sfera pubblica globale che si riconosca nell'unico universalismo non omologante, quello della differenza.