Il volume è una raccolta di racconti che, come i capitoli di un romanzo, compongono un'unica, grande storia: quella della conquista di una maturità che per il giovane Isaac McCaslin si compie quando uccide la prima preda, o forse nell'istante in cui la preda lo riconosce abbastanza uomo e accetta di farsi uccidere da lui. Perché la foresta di Faulkner è luogo fisico e proiezione metafisica, e l'uomo, attraverso il rituale della caccia, vi giunge a comprendere se stesso e la propria identità in rapporto agli altri e soprattutto rispetto alla natura. Una natura selvaggia e nobile, potente e senza tempo, il cui simbolo è il grande orso zoppo, Old Ben, inseguito e braccato da cani e cacciatori anno dopo anno.
Un viaggio folle su un barroccio sgangherato, tra inondazioni e fienili in fiamme, sotto i cerchi sempre più fitti degli avvoltoi che accompagnano speranzosi il grottesco funerale di Addie Bundren. Attorno alla bara, spinti dai segreti più diversi, ingobbiti nei loro destini indicibili, il marito, la figlia e i quattro nipoti. Faulkner scrive questo suo quinto romanzo in sei settimane: è l'estate del 1929, ha trentadue anni, lavora di notte come operaio in una centrale elettrica e ha appena pubblicato "L'urlo e il furore". "Mentre morivo" ne rappresenta l'evoluzione tecnica, dove le voci monologanti si moltiplicano in una successione a spirale, fondendosi poi in una rara armonia di dissonanze.
Due storie narrate a capitoli alterni che mai s'intersecano: quella di due amanti che fuggono dalla società per chiudersi nel loro rapporto esclusivo e che nel tentativo d'interrompere una gravidanza finiscono con l'autodistruggersi; e quella del detenuto che durante la grande inondazione del Mississippi viene mandato in cerca di una partoriente aggrappata a un albero semisommerso, la trova, fa nascere il bambino, porta entrambi in salvo e poi rientra nella monastica società del penitenziario.