Avrebbe mai potuto Friedrich Nietzsche, il filosofo più influente nella contemporaneità, fare un'altra filosofia? Il Nietzsche dei manuali viene improvvidamente riassunto in formule, come se il superuomo, la volontà di potenza e l'eterno ritorno fossero concetti inequivocabili. In realtà il senso di quelle formule, esposto alle più diverse interpretazioni, rimane tutt'altro che trasparente e profondamente enigmatico. Contro il Nietzsche citato a vanvera, pronto a sostenere qualunque tesi, questo libro si domanda: e se invece Nietzsche non sostenesse alcuna tesi? Se il suo pensiero fosse per l'appunto l'esempio di un pensiero sperimentante, antidogmatico, antifanatico? E se ciò fosse dovuto innanzitutto al tratto estetico che lo caratterizza? L'ipotesi sconcertante e liberatoria che propone Susanna Mati, dunque, è che si debba congedare l'immagine del Nietzsche pensatore oracolare e soprattutto dottrinale. Infatti la filosofia intesa in questo senso, cioè come quell'antica forma di aspirazione al sapere connotata da un rapporto di possesso con la verità, è finita. Perciò l'opera di Nietzsche mira piuttosto a produrre un effetto estetico, come lo definisce Susanna Mati, quasi fosse una sorta di operazione artistica svolta sull'intero corpo della filosofia occidentale, qualcosa che chiede di essere attraversato e lasciato alle spalle, concludendosi in un grande, definitivo naufragio. Un libro strutturato secondo la forma del labirinto, che si confronta con i molteplici volti del grande filosofo, perché essere nietzschiani oggi significa smascherare anche il maestro che ci ha insegnato le virtù psicologiche dello smascheramento.
La ninfa. Il suo carattere inafferrabile emerge in questo libro da un excursus in cui si susseguono momenti filosofici e luoghi poetici. La sua figura misteriosa e appariscente si specchia nell'andamento narrativo del testo. Invasiva e maniacale, attratta verso il basso, mobiissima e incatturabile, di questa piccola semi-divinità è forse possibile reperire una 'filosofia' grazie ai concetti platonici di vita e movimento, attribuiti all'anima mundi. Attraversando la distesa delle sue successive incarnazioni femminili (Kore, Clizia, Arianna...), inevitabilmente si leverà una voce lirica - cantata da Porfirio, Nietzsche, Warburg, Montale... - che condurrà alfine a scorgere la drammatica reciprocità tra Ninfa e Labirinto: tra solitudine dell'anima e luogo del transito e della perdita. Da sempre incline alla discesa cosmica, questa creatura attraversa oggi un'indubitabile decadenza materiale; ma, quale emblema della Ninfa demonica, riesce ancora a costituirsi come un'inudibile, immanente musica delle sfere: il canto e il moto stesso del mondo.