In occasione del decennale della scomparsa di Edda Ducci si riportano, in questo volumetto, alcune pagine dell'amico e collega, Francesco Mattei, e di uno dei suoi ultimi allievi, Cosimo Costa. Sono pagine da cui trarre l'azione viva dell'autrice, capace di lasciare sane impronte nell'animo di chi personalmente la conobbe e di chi tuttora la legge. Amante appassionata della conquista umana del vero, lontana dall'enfasi che la recente ricerca pedagogica ha evidenziato, Ducci è qui ricordata attraverso le annotazioni e le sottolineature delle dispense usate a Bari nel corso delle sue prime letture ebneriane e alcune delle sue principali "categorie paidetiche". Intenta a riflettere sulla parola per farla divenire Logos, Edda Ducci giunge a una concezione pedagogica dove l'uomo diviene umano grazie ad una paideia di natura dialogica che scava nell'in sé e si dà all'altro come necessarietà. Un ricordo affettuoso, dunque, e un invito alla lettura di pagine non ancora stinte dal tempo.
Si ripropongono qui pagine di cultura pedagogica già apparse in anni lontani, sul finire del travagliato Novecento. Secolo travagliato con pedagogie travagliate ma vive, dinamiche accompagnatrici della formazione storico-politica di classi ascendenti e con il desiderio espresso di miglioramento delle proprie condizioni iniziali. Questo il passaggio necessario, in quegli anni, per una mobilità sociale ascendente e per la conquista di un posto consono a sé nella società mutante. Un compito che la scuola e l'Università hanno assolto con molta dignità. Poi sono arrivate le accelerazioni, i mutamenti di paradigma, le soluzioni salvifiche, l'efficienza strumentale, la centralità del successo economico... e la marginalizzazione della "scuola per il cittadino". La scuola e la pedagogia sono state chiamate a "professionalizzare", a guardare con occhio più che attento al mondo del lavoro, al tasso possibile di "impiegabilità". Ma l'uomo dove si formava? Dove trovava gli spazi per la cura di sé, per la formazione di un'anima non utilitaristica e non utilizzabile da altri? E i maestri, di cosa erano maestri? Continuavano a formare spiriti critici o ammaestrati esecutori di piani governativi o super-governativi?
Con la caduta, nella seconda metà del Novecento, di alcune filosofie dedite all'enfatizzazione teorica della classe o all'esasperazione individualistica del soggetto (o, al contrario, della sua inesorabile e un po' esausta decostruzione), ha ripreso vigore un'attenzione non spuria per la dimensione poco friabile della persona. Di qui un rinnovato interesse per il personalismo filosofico e pedagogico, ma anche l'illusione, probabilmente fatua, di poter tranquillamente rinnovare il sempre rasserenante heri dicebamus, come se i decenni trascorsi non avessero scavato e modificato in profondità anche la semantica della persona. Non ci si inoltra qui, però, nelle molte modulazioni (oggi molto appetite) delle interpretazioni personalistiche. Molto più semplicemente si getta uno sguardo retrospettivo, per ora, sul lemma persona, un lemma antico e sempre proteiforme, facile da fraintendere e facile da manipolare. Perciò non sembra inopportuna una breve ricostruzione storico-critica. Da Boezio alla Scolastica, da Valla a Serveto, da Hobbes a Mounier.