Chi non ci va, la provi; chi ci va, perseveri; chi le vuole male cambi idea e chi la ama si stringa a coorte per difenderla. «Di tutte le seccature inventate dall'uomo, l'opera è la più costosa», diceva Molière. Ma per Alberto Mattioli questa geniale invenzione italiana è soprattutto una magnifica e folle ossessione. Ha assistito infatti a quasi 1.800 recite in tre continenti, decine di Paesi e centinaia di teatri; ovunque si alzi un sipario, per lui vale il viaggio perché l'opera lirica mantiene intatto il suo misterioso potere emozionale, la sua capacità di parlare al cuore e al cervello degli spettatori. Raccontando della sua inguaribile passione - o, a suo dire, malattia - l'autore descrive questo affascinante mondo non solo per chi all'opera ci va, ma anche per chi ci vorrebbe andare o ne è solo incuriosito: dai teatri italiani che hanno reso nazionalpopolare il melodramma, quando Rossini, Verdi e Puccini erano la colonna sonora della vita di molti, all'opera di oggi, fenomeno globale e multimediale. Mattioli ci mostra le ragioni di un amore irrazionale e sfrenato per uno spettacolo capace con i capolavori del passato di leggere il nostro presente e di continuare a farci piangere, ridere e riflettere. Perché finché c'è opera c'è speranza.
Questo libro è la storia di una passione, la passione per l'opera lirica, lo spettacolo più elaborato, esagerato, costoso, assurdo - quindi affascinante inventato dall'uomo e, in particolare, dagli italiani. Alberto Mattioli, giornalista specializzato in lirica, doppiato il capo delle millecento recite d'opera viste, racconta questo mondo bizzarro, fra cantanti divi, grandi direttori, registi "provocatori", loggionisti scatenati, sfarzosi festival internazionali come Bayreuth o Salisburgo e scalcinati teatri di provincia, produzioni leggendarie e messe in scena sgangherate, trionfi epocali e fiaschi apocalittici, "prime" della Scala e spettacoli fai-da-te. Negli ultimi anni l'opera è in difficoltà nel Paese che l'ha inventata, schiacciata dalle ristrettezze economiche, dalla miopia della politica e dal conservatorismo di chi la fa (e di chi ci va). Ma continua a conquistare il mondo, dove rimane un "made in Italy" che, da secoli, non conosce crisi. Il melodramma piace sempre di più nei Paesi emergenti, conquista nuovi pubblici e nuovi mercati, si rinnova nel repertorio e nel modo di metterlo in scena, scopre nuovi protagonisti e rimpiazza quelli vecchi, usa Internet, i voli low cost, il dvd per allargare la sua platea globalizzata. La passione, però, è sempre quella. All'opera tutto non può che essere eccessivo, anche l'amore degli appassionati. L'importante è andare all'opera. Anche stasera
Nella sua ultima intervista, rilasciata al giornalista Alberto Mattioli, Luciano Pavarotti si è abbandonato a un bilancio: "Io nella vita ho avuto tutto, ma davvero tutto. Se mi viene tolto tutto, con il buon Dio siamo pari e patta". E in effetti quella di Big Luciano, è stata una vita piena di successi strepitosi, di acclamazioni universali, ma anche di tribolazioni pubbliche e private. Una vita davvero "grande", che Mattioli racconta in tutti i suoi aspetti con affetto e scrupolosità. Il giornalista narra la nascita di questo talento spropositato, che non sapeva leggere uno spartito ma riusciva a cantare ed emozionare come nessuno. Ripercorre la sua formazione artistica e privata, l'infanzia a Modena, il debutto a Reggio Emilia, le sue esibizioni già passate alla storia, la marcia trionfale in tutti i teatri d'opera del mondo e il miracolo, riuscito solo a lui, di entusiasmare con le arie d'opera folle da raduno rock. Senza tralasciare i fiaschi, pochi ma dolorosi, e le polemiche, fra cui la lunga vicenda col fisco conclusa con un assegno da venticinque miliardi di lire. Mattioli rivela poi i dietro le quinte dei "Tre tenori" e del "Pavarotti and Friends", le contaminazioni con la musica pop, la rivalità con Placido Domingo e le amicizie con Bono e Lady D. Una vita vissuta tutta d'un fiato fino al silenzioso addio. Un silenzio coperto dal ricordo potente e armonioso della sua voce e riempito da tutte quelle tracce che solo i fuoriclasse sanno lasciare nell'epoca che attraversano.