La Bibbia è piena di narrazioni vertiginose ed è altrettanto piena di buchi, non-detti ed ellissi. Dentro questi buchi e queste ellissi, Luca Miele estrae le psicologie dei personaggi: non solo di Sara, Isacco e Abramo ma anche di Agar, Ismaele, il Faraone, lo schiavo Eliezer. Ogni capitolo del libro - quasi un romanzo - è affidato alla voce di un personaggio che racconta in prima persona la sua vicenda. E il fardello esistenziale che lo opprime.
A oltre 50 anni dalla morte di Jack Kerouac, il senso della sua opera - tormentata e magmatica - rimane ancora in parte inesplorato. Luca Miele setaccia la poetica dell'autore di On The Road, rintracciando le apparizioni che essa ospita, le estasi che la accendono, la solitudine che la tormenta, le cadute che la trafiggono, l'inquietudine religiosa, l'ansia, la lotta e l'affidamento a Dio.
La parola biblica deborda nei versi di Bob Dylan, costeggia l'opera di Woody Guthrie, preme nella "teologia del Padre" di Bruce Springsteen, sostiene la poetica di Johnny Cash, urla nella furia di Patti Smith. Che si manifesti nella lotta o nell'abbraccio, nella fede o nella sua negazione, il rapporto con la Scrittura feconda il canzoniere di alcune delle voci più significative del rock. Ed è proprio la distanza, la ferita che si apre tra la parola biblica e il suo riecheggiare nella musica pop a renderne fertile e vertiginoso il risuonare. Massimo Granieri e Luca Miele provano a catturare quegli echi inseguendo suggestioni e voci, incrociando percorsi, affastellando canzoni in modo dichiaratamente non sistematico, aperto e fluido. Prefazione di Antonio Spadaro.
«Per narrare il rapporto conflittuale tra padri e figli, Springsteen ritorna a Adamo e Caino (Adam Raised a Cain). Per raccontare l’irreparabilità della perdita, “una distanza che non può essere colmata”, si rifà alla solitudine di Gesù al Calvario (Jesus Was an Only Son). Per cantare la ferita del dolore ricorre alla simbologia della Croce (I’ll Work for Your Love). Per contrapporsi al disgregarsi della comunità, fa riecheggiare l’invito evangelico ad “amarsi uno con l’altro” (Jack of All Trades)».
Luca Miele
L’intera produzione di Bruce Springsteen è punteggiata, attraversata, nutrita da simboli e figure religiose. Un rapporto, quello tra il cantante di Born in the U.S.A. e la fede, mai pacificato, sempre conflittuale, controverso, spigoloso, aperto. Mediata dal patrimonio degli spirituals – che Springsteen riattualizza nell’esperienza di The Seeger Sessions –, la Bibbia costituisce una sorta di pre-testo a cui il cantante si appoggia per costruire la sua (formidabile) narrazione americana.
Fede, speranza, risurrezione sono le parole chiavi del “vocabolario” del rocker americano. Un vocabolario che non disconosce la tragedia, la violenza, il male, ma li trasfigura nell’impegno, nell’attesa, nella tensione escatologica. Nella certezza che «un nuovo giorno sta nascendo» (Rocky Ground).