"Utopia," dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 a questo libro, "può derivare dalla parola greca 'eutopia', che significa il buon posto, o dall'altra parola greca 'outopia', che significa nessun posto." Ed e lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: "Poco dopo la Prima guerra mondiale, vivevo ancora nel clima di speranza della generazione passata; ma mi rendevo conto che l'entusiasmo del grande Diciannovesimo secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato a esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell'uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l'opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico". Di questo bisogno di scenari non angusti - che si ripropone oggi come un'esigenza forse troppo trascurata - discute l'introduzione di Franco Crespi, sull'inattuale attualità dell'utopia.
Con questo libro, Lewis Mumford disegna una mappa dell'evoluzione della cultura occidentale. Un'opera imponente che, a cinquant'anni dalla sua prima edizione italiana, mantiene intatte l'esattezza della visione e l'energia della scrittura. Mumford, sociologo per formazione, ma intellettuale nel senso pieno del termine, integra le metodologie e i saperi utilizzando gli strumenti della sociologia e dell'economia, della storia dell'arte e della filosofia. Raccontare la storia della città - studiarne le origini, decifrarne il valore simbolico, interrogarsi sul suo destino - significa dunque ricostruire la storia della civilizzazione, dai primi centri abitati dell'Egitto e della Mesopotamia fino alle metropoli moderne. La città è il luogo dove prendono forma le regole della vita comunitaria, dove il patrimonio delle civiltà si moltiplica, dove l'esperienza umana si tramuta in segno leggibile e la Storia inizia il suo cammino. Anche nel rigore della ricostruzione storica, lo sguardo e la vasta erudizione dell'autore sono però rivolti al presente, alla crisi ecologica e sociale provocata dall'urbanizzazione e ai futuri possibili che tutti siamo chiamati a costruire. È la passione civile a muovere e organizzare l'erudizione di Mumford, a segnare la nitidezza, a tratti poetica, del suo stile e a fare di "La città nella Storia" non solo un testo di riferimento, ma un classico di grande attualità.
L'uomo cammina con i piedi in terra e la testa per aria; e la storia di ciò che è accaduto sulla terra, la storia delle città, degli eserciti e di tutte quelle cose che hanno avuto corpo e forma, è solo una metà della storia dell'uomo". L'altra metà è rappresentata proprio dall'utopia. "Utopia - dice Lewis Mumford nella prefazione del 1922 - può derivare dalla parola greca "eutopia", che significa il buon posto, o dall'altra parola greca "outopia", che significa nessun posto". Ed è lo stesso Mumford a chiarire il contesto intellettuale da cui questo suo lavoro ha tratto origine: "Poco dopo la prima guerra mondiale, mi rendevo conto che l'entusiasmo del grande XIX secolo era giunto alla fine. Quando ho iniziato ad esaminare storicamente le utopie, intendevo chiarire che cosa in esse fosse andato perduto e definire che cosa fosse ancora valido. Fin dal principio ero conscio di una virtù che era stata inspiegabilmente trascurata: le opere classiche degli utopisti trattavano sempre la società come un tutto unico e tenevano conto dei rapporti esistenti tra funzioni, istituzioni e fini dell'uomo. La nostra civiltà ha poi diviso la vita in compartimenti. Sono giunto dunque a considerare il pensiero utopista come l'opposto dello spirito unilaterale, partigiano, specialistico". Di questo bisogno di scenari non angusti, che si ripropone oggi come un'esigenza forse troppo trascurata, discute l'introduzione di Franco Crespi, sull'inattuale attualità dell'utopia.