La maggior parte degli storici ha guardato agli anni della tarda repubblica di Roma attraverso gli occhi dell'aristocrazia romana. Il popolo comune viene descritto come una massa di parassiti, una marmaglia interessata unicamente ai "panem et circenses", a placare la fame e a godere dei sanguinari spettacoli del circo. Cesare è per alcuni un tiranno, per altri un pericoloso demagogo che sposa la causa del popolo per desiderio di potere, per altri ancora un "dittatore democratico". Il suo assassinio viene letto come il risultato di inimicizie personali o di lotte di potere svuotate di contenuto sociale. A Parenti non interessa tanto Cesare come individuo, piuttosto gli preme capire quali dinamiche sociali e "di classe" si agitavano dietro le quinte della sua ascesa e del suo assassinio. Quella che Parenti racconta è la storia della resistenza popolare contro una plutocrazia spietata. Una storia "dal basso" che restituisce a un popolo la sua voce. Il libro ricostruisce il contesto sociale e politico in cui maturò l'omicidio di Cesare e, insieme, cerca di leggere "in filigrana" la vita, le iniquità, le aspirazioni della società romana.