E' nei racconti che possiamo ritrovare tutte le tematiche e gli stili di Pavese, nonché il cuore della sua visione del mondo più matura, che può essere così riassunta: "siamo tutti soli, ognuno è inchiodato al suo destino fin dal principio, e quale esso sia per ciascuno lo si può cogliere già nei primi anni di vita, a sei-sette anni, osservando il carattere e certi segni, anche nel corpo. Per di più un destino immutabile". I racconti si affiancano alle pagine autobiografiche di altre sue opere, rivelando il percorso di crescita dell'uomo e mostrando la coscienza e la maturità intellettuale dello scrittore.
La Seconda guerra mondiale con i suoi bombardamenti ha raggiunto il mite e solitario Corrado, professore di Scienze che, come tanti, la notte si rifugia in collina, lontano dagli attacchi che colpiscono Torino. È lì che, per un caso, ha modo di incontrare un antico amore della giovinezza, Cate, che ora gestisce un'osteria e ha un figlio piccolo. Le chiacchierate con il gruppo di amici che si riunisce in osteria, i tempi lenti e le passeggiate con il piccolo Dino per i boschi sono il modo di Corrado per sfuggire alla guerra e alle scelte che essa comporta. Finché gli scontri, dopo l'8 settembre, non giungono anche in collina. Cate e il resto del gruppo, parte di un'organizzazione antifascista, sono catturati dai tedeschi e Corrado abbandona tutto per trarsi in salvo in un collegio di religiosi assieme a Dino. Ma le mura del collegio non bastano a riparare Corrado dal rimorso e dal senso di inadeguatezza per la propria incapacità di agire e di sentirsi parte di una guerra che gli appare del tutto insensata. Tra i più autobiografici romanzi di Pavese, "La casa in collina" riprende molti dei temi cari all'autore, e in particolare la grande pagina bianca della sua vita: la mancata partecipazione alla Resistenza. Perché, come riflette Corrado nelle intense pagine finali del romanzo, "Ora che ho visto cos'è guerra, cos'è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti che facciamo? perché sono morti? - Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero".
In queste pagine, che sono insieme giornale della sua vita ed esame di coscienza, Cesare Pavese racconta se stesso allo specchio e ci consegna un manifesto di poetica che attraverso la lente della letteratura fotografa l'uomo e lo scrittore. Se "Il mestiere di vivere" raccoglie istante per istante i suoi pensieri dal '35 al '50, a pochi giorni dalla morte, "Il taccuino", una ventina di fogli redatti tra il '42 e il '43, in uno dei periodi più tormentati dell'esistenza di Pavese, è stato a lungo archiviato come testimonianza di un momento di debolezza per le annotazioni politiche che hanno acceso il dibattito sulla sua presunta vicinanza al fascismo. Ma è solo dalla lettura di queste carte restituite ai lettori insieme che può emergere la complessità della figura intellettuale e umana di uno dei più grandi autori italiani del Novecento.
Pubblicati nel 1947, i "Dialoghi con Leucò" appartengono alla singolare categoria dei libri tanto famosi - Pavese li volle accanto a sé quando, nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1950, scelse di morire e vi annotò come parole di congedo «Non fate troppi pettegolezzi» - quanto negletti. Il che non stupisce: nella sua opera rappresentano una sorta di ramo a parte e oltretutto perturbante. Si stenta oggi a crederlo, ma all'epoca in Italia il mito godeva di pessima fama, mentre Pavese, sin da quando, nel 1933, aveva letto Frazer, stava scoprendo l'opera di grandi antropologi che in quegli anni si ponevano il quesito: «Che cos'è il mito?», sulla base di testi sino allora ignorati o poco conosciuti. Così era nata, in stretta collaborazione con Ernesto De Martino, la Viola di Einaudi, collana che rimane una gloria dell'editoria italiana. E così nacquero i "Dialoghi con Leucò". Tanto più preziosa sarà oggi, a distanza di più di settant'anni, la lettura di questo libro se si vorrà acquisire una visione stereoscopica del paesaggio in cui è nato, dove non mancarono forti reazioni di ripulsa (per la Viola) o di elusiva diffidenza (per i "Dialoghi con Leucò"). Introduzione di Giulio Guidorizzi. Con una conversazione tra Carlo Ginzburg e Giulia Boringhieri.
È stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi autori del Novecento italiano, Cesare Pavese, animatore della vita culturale del Paese non solo come narratore e poeta ma anche come traduttore e redattore della casa editrice Einaudi, capace di raccontare i tormenti e le contraddizioni tra antico e moderno del secondo dopoguerra, lo spaesamento di una generazione che aveva attraversato il fascismo, la Resistenza e la Liberazione senza venire a capo dei propri drammi intimi e sociali. Vale oggi decisamente la pena ripercorrere le tappe di uno scrittore che fu protagonista del suo tempo pur essendo naturalmente schivo e riservato, attraverso i suoi capolavori: a partire dai romanzi La spiaggia (1942), Il compagno (1947) e La casa in collina (1948) e dal trittico con il quale vinse lo Strega, La bella estate , Il diavolo sulle colline e Tra donne sole ; fino a quello che è forse il suo più amato, La luna e i falò (1949), e in cui è condensato il tema dell'impossibilità del ritorno alle radici; senza tralasciare la ripresa e rielaborazione del mito nei Dialoghi con Leucò (1947) e le due raccolte poetiche maggiori, Lavorare stanca (1936) e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (uscita postuma nel 1951), in cui è rifiutato il ricorso al metro tradizionale in favore di una confidenziale e originale commistione con il ritmo e le cadenze della prosa. Prefazione di Paolo Di Paolo.
Pubblicato nell'aprile del 1950 e considerato il libro più bello di Pavese, "La luna e i falò" è il suo ultimo romanzo. Il protagonista, Anguilla, all'indomani della Liberazione, torna al suo paese delle Langhe dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell'amico Nuto, ripercorre i luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza in un viaggio nel tempo, alla ricerca di antiche e sofferte radici. Storia semplice e lirica insieme, costruita come un continuo viavai tra il piano del passato e quello del presente, La luna e i falò recupera i temi civili della guerra partigiana, la cospirazione antifascista, la lotta di Liberazione, e li lega a problematiche private - l'amicizia, la sensualità, la morte -, in un intreccio drammatico che conferma la totale inappartenenza dell'individuo rispetto al mondo e il suo triste destino di solitudine.
Corrado è un professore che ogni sera lascia una Torino buia e bombardata per rifugiarsi sulle colline circostanti. Ma quando la guerra lo raggiunge fin lì, decide di ritirarsi su altre colline, più lontane ancora, quelle in cui è cresciuto. Lungo la strada incontra sparatorie, morti, sangue umano misto alla benzina fuoriuscita dagli autocarri. L'innocenza è perduta per sempre e il conforto non può arrivare neppure dalla terra delle origini, perché niente è più come prima. Il momento più alto della maturità dello scrittore Cesare Pavese, la storia di una solitudine individuale di fronte all'impegno civile e storico; il superamento dell'egoismo attraverso la scoperta che ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione. Il romanzo simbolo dell'impegno politico e del disagio esistenziale di un'intera generazione.
Scritto nel 1948 e pubblicato l'anno seguente con altri due romanzi brevi in un volume, "La bella estate", che avrebbe poi vinto il premio Strega, "Il diavolo sulle colline" resta uno dei libri più belli di Pavese. Vi si trova il suo clima morale più tipico, le tensioni e la fragilità di un'adolescenza che si protrae in una giovinezza sognatrice, più portata a fantasticare se stessa che ad agire, sempre in attesa di un evento straordinario che sembra in agguato nella placida noia di giornate sempre eguali.
Pubblicato nell'aprile del 1950 e considerato dalla critica il libro più bello di Pavese, "La luna e i falò" è il suo ultimo romanzo. Il protagonista, Anguilla, all'indomani della Liberazione torna al suo paese delle Langhe dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell'amico Nuto, ripercorre i luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza in un viaggio nel tempo alla ricerca di antiche e sofferte radici. Storia semplice e lirica insieme, "La luna e i falò" recupera i temi civili della guerra partigiana, la cospirazione antifascista, la lotta di liberazione, e li lega a problematiche private, l'amicizia, la sensualità, la morte, in un intreccio drammatico che conferma la totale inappartenenza dell'individuo rispetto al mondo.
Tra il marzo e il giugno del 1950 Pavese scrive otto soggetti per il cinema. Il suo sogno era scrivere un film per le sorelle Dowling, conosciute a Roma alla fine del 1949 e subito diventate importanti nella sua vita, come amica Doris, come ultimo grande amore Constance. Questo furioso lavoro di scrittore per il cinema, cosi concentrato nel tempo, fa esplodere la sua antica passione per la decima musa, coltivata fin dagli anni giovanili in tutte le sale cinematografiche torinesi. Questa passione ha nutrito nel profondo l'immaginario di Pavese, che ha anche scritto diversi saggi critici sul cinema come arte contemporanea, sui suoi film preferiti, sull'America vista attraverso le grandi e piccole mitologie dello schermo. Mariarosa Masoero ha qui raccolto sia gli scritti teorico-critici sia i soggetti cinematografici, editi e inediti, dando il quadro completo del rapporto di Pavese con il cinema, un rapporto che ha influenzato profondamente la sua scrittura nei temi, nelle atmosfere, nella grammatica narrativa, nello stile. A corollario, viene presentato per la prima volta anche un saggio sul teatro di varietà, ugualmente frequentato dal giovane Pavese e per diverse ragioni legato al suo "vizio" cinematografico.