Pavese è stato il prototipo dell'editore postmoderno. Nel suo lavoro per l'"officina Einaudi" ha espresso un'idea di cultura allora decisamente anticonformista: una cultura poco ideologica, senza timori di scorrettezza politica, inclusiva e non illuministicamente distintiva. Nasce così la collana viola, con la prima traduzione italiana del reazionario Jung, nasce così la sua idea di pubblicare nella stessa collana "Il capitale" di Marx, "Le mille e una notte" e la Bibbia, suscitando scandalo fra gli altri einaudiani. Le sue lettere a Giulio Einaudi e ai principali consulenti della casa editrice, tra i quali Norberto Bobbio, Felice Balbo, Natalia Ginzburg, Giaime Pintor, Elio Vittorini, raccolte insieme per la prima volta con la presenza di numerosi inediti, permettono di vedere da vicino i suoi percorsi editoriali e il suo mestiere di pubblicare libri.
La storia di una solitudine individuale di fronte all'impegno civile e storico; la contraddizione da risolvere tra vita in campagna e vita in città, nel caos della guerra; il superamento dell'egoismo attraverso la scoperta che ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione. "Ora che ho visto cos'è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: "E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?" Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero". La grande intuizione delle ultime pagine de "La casa in collina" sarà ripresa e portata alle estreme conseguenze artistiche e morali nell'altro grande libro di Cesare Pavese, "La luna e i falò".
Questo volume riunisce i capolavori narrativi di Cesare Pavese. Testi che dipingono con straordinaria efficacia i temi più cari alla poetica di Pavese, dall'impegno politico al disagio esistenziale, dalla perdita dell'innocenza all'ineluttabile destino dell'uomo, rivelando allo stesso tempo la tormentata personalità artistica di uno degli scrittori che hanno segnato piú in profondità il Novecento.
Doro si è sposato, ha lasciato Torino per Genova e da troppo tempo non vede un suo vecchio amico, un professore più che trentenne. Ma in un giorno d'estate, Doro ritorna. A quanto dice, gli è semplicemente venuta voglia di rivedere il suo paese, eppure l'amico di un tempo non gli crede: lo accompagna per i luoghi della loro giovinezza e intanto prova a scavare sotto quella scorza taciturna ed evasiva, alla ricerca di un dramma intimo. Il professore continuerà a cercare quel dramma anche quando seguirà Doro al mare, e soprattutto quando incontrerà la moglie del suo amico, Clelia: una donna volubile e affascinante. Troppo, forse, perché il suo matrimonio funzioni. Un romanzo intenso e malinconico sui misteriosi e ambigui sentimenti che lasciano gli individui soli dinanzi al loro ineluttabile destino.
Ventisei dialoghi brevi ma carichi di tensione, suadenti eppur sconfinanti nel tragico in cui gli dèi e gli eroi della Grecia classica (da Edipo e Tiresia a Calipso e Odisseo, da Eros e Tànatos a Achille e Patroclo) sono invitati a discutere il rapporto tra uomo e natura, il carattere ineluttabile del destino, la necessità del dolore e l'irrevocabile condanna della morte. Un "capriccio serissimo", unico, in cui - come scrive nell'introduzione Sergio Givone - il mito è riproposto come "qualcosa di necessario" e la poesia a esso intimamente legata "ne rivela la cifra misteriosa e crudele". Completano il volume le note tratte dai manoscritti di Pavese e la presentazione che egli stesso scrisse per la prima edizione del volume, la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia ragionata e l'antologia della critica.
"Paesi tuoi" segnò l'avvio dell'opera narrativa di Pavese; pubblicato nel 1941, fu una delle prime prove di quel neorealismo di cui tanto si parlerà in seguito. Fece subito rumore, suscitò entusiasmi, scandali, discussioni, stroncature; ma soprattutto rivelò un solido nuovo scrittore. "Il racconto di Pavese è così intimamente mosso e commosso, scrisse allora Pietro Pancrazi che, nel complesso, vince anche la difficoltà dell'arte poetica che si è imposto. Si sente che i personaggi e i paesi del suo dramma gli hanno parlato nel sangue prima ancora che nell'arte. C'è in "Paesi tuoi" un'esigenza umana, e un movimento, un piglio di scrittore serio, che non ingannano."
Iniziato il 6 ottobre 1935 durante i giorni del confino politico, "Il mestiere di vivere" accompagna Cesare Pavese fino al 18 agosto 1950, nove giorni prima della sua morte, e diventa a poco a poco il luogo cui affidare i pensieri sul proprio mondo di scrittore e di uomo e, soprattutto, le confessioni ultime su quei drammi intimi che laceravano la sua esistenza. Amaro, disperato, violento, ironico, raramente sereno, Pavese consegna al lettore una meditazione sulla vita, sui sogni, sui ricordi e sull'arte condotta con rigore intellettuale e morale; e allo stesso tempo, pagina dopo pagina, testimonia con lucidità l'evoluzione di un personale mestiere di vivere. In appendice "Frammenti della mia vita trascorsa", "Pensieri cassati", "In sogno". Completano il volume un ampio apparato di note, la cronologia della vita e delle opere, la bibliografia ragionata e l'antologia della critica.
Il volume ospita innanzitutto "Feria d'agosto", l'unico testo licenziato dall'autore stesso, e il lungo racconto giovanile "Ciau Masino". Accanto a questi sono presentati i racconti giovanili e gli altri racconti sparsi ricostruiti secondo le testimonianze a stampa e le carte delle prime stesure. Firma l'introduzione Marziano Guglielminetti, mentre Mariarosa Masoero cura il volume, firma il testo introduttivo "Fra le carte dei racconti", le note e le notizie sui testi.