Roberto Vivarelli (Siena 1929- Roma 2014) è stato uno storico italiano, professore di Storia contemporanea presso l'Università di Siena, poi presso l'Università di Firenze (1975-1986), e dal 1986 alla Scuola Normale Superiore di Pisa. I suoi studi riguardano principalmente la storia italiana del Novecento, con particolare riferimento all'origine del fascismo, come attesta la monumentale opera Storia delle origini del fascismo. L'Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, edita in tre volumi pubblicati tra il 1965 e il 2012.
È possibile scrivere di storia sui giornali? Ed è possibile scriverne in modo non effimero, cercando di ragionare semplicemente, ma correttamente, su questioni difficili, esplorando i lati più nascosti di personalità già molto note, presentando episodi rivelatori o documenti poco o punto conosciuti? Questo il tentativo compiuto per molti anni da Roberto Pertici in decine di piccoli saggi, di cui questo libro presenta una scelta. L'autore si è inserito consapevolmente nella tradizione novecentesca di quegli storici accademici che hanno voluto collaborare ai grandi quotidiani nazionali, cercando in tal modo di raggiungere un pubblico diverso da quello a loro consueto. Non come commentatori politici o analisti di costume (anche se qualcuno è riuscito a svolgere egregiamente anche questi ruoli, anzi è stato perfino direttore di un quotidiano, come Luigi Salvatorelli e Giovanni Spadolini), ma proprio come "storici": ritenendo importante discorrere variamente di storia anche in un foglio su cui l'attenzione del lettore durava inevitabilmente lo spazio di un mattino. È da questo modello di azione intellettuale che nasce anche questo volume, che si pone alla ricerca di un pubblico non di iniziati, ma di lettori curiosi e al tempo stesso pensosi del nostro passato.
Il volume ripercorre i temi, i riferimenti politici e ideali, le iniziative culturali ed editoriali e infine il declino della cultura "antitotalitaria" in Italia nei trent'anni successivi al secondo conflitto mondiale. Cultura "antitotalitaria", non meramente "antifascista", perché il variegato arcipelago politico-culturale qui analizzato coniuga un radicato antifascismo - testimoniato da una ventennale opposizione al regime - con un altrettanto radicato anticomunismo. Allo stesso modo dei liberali pensavano i cattolici della generazione degasperiana, i socialisti democratici e riformisti e gli intellettuali appartenenti alla tradizione repubblicana, nella convinzione che l'esperienza fascista fosse morta per sempre e che il vero problema delle democrazie del dopoguerra fosse la lotta contro il mondo comunista, non solo là dove ormai era già "sistema", ma anche nelle sue propaggini occidentali. Il libro cerca anche di analizzare le cause che portarono negli anni Sessanta al declino di questa costellazione culturale e quelle che hanno impedito un suo sostanziale recupero dopo il 1990, quando la storia del Novecento sembrava averle dato ragione.