La penna e la cetra sono gli emblemi di un agone poetico sospeso tra arte e fede che percorre come un filo rosso cento anni cruciali per la storia della cristianità occidentale e per la letteratura italiana del Rinascimento. Le vicende dei volgarizzamenti biblici e della censura ecclesiastica tra Riforma e Concilio si intrecciano con l'affermarsi del petrarchismo spirituale e di forme poetiche che trovano nella Scrittura il principale fattore di rinnovamento. Dai sette salmi dello Pseudo-Dante ai sonetti penitenziali di Francesco Bembo, passando per le numerose riscritture, i poeti moderni si misurano con la voce di David, «dolce cantore di Israele», in un arco cronologico che coincide con la più ampia parabola delle traduzioni bibliche in Italia. Questo libro unisce una ricostruzione della «poetica davidica» basata sul triangolo fondamentale di autore, testo e pubblico a un'indagine stilistica mirata a delineare il «ritmo della riscrittura». La prima sezione propone un esame dei metodi e degli oggetti di traduzione, parafrasi, ricreazione, insieme a una classificazione delle tipologie del libro poetico di salmi e a un profilo dei lettori. La seconda parte si rivolge alla semantica traduttiva delle forme, esplorando il rapporto dinamico tra metro, sintassi e ipotesto nelle numerose tradizioni metriche coinvolte.