Data di pubblicazione: Febbraio 2020
DISPONIBILE IN 5/6 GIORNI
€ 24,00
Tesi di fondo di questo libro è che nell’antica Roma il pianto è alquanto diffuso e accompagna gli avvenimenti della vita pubblica e privata. Si tratta di esercitare un potere politico e simbolico: per aumentare la loro autorità, senatori, imperatori e brillanti condottieri non esitano a versare lacrime. Esse vengono usate nelle più svariate situazioni: per esprimere la sofferenza del lutto, la volontà di espiazione quando oscuri presagi appaiono minacciosi, la paura di un’esclusione sociale per cui si invoca la tradizione della propria famiglia; per manifestare la propria grandezza d’animo davanti agli sconfitti. L’autrice si sofferma poi sul messaggio politico che le lacrime diffondono, sul momento calibrato in cui compaiono. Esamina con cura testi e tradizioni, sconfessando l’immagine monolitica dei romani come un popolo duro e crudele. Il tema del libro ha un interesse generale, in un momento in cui si recupera lo studio delle emozioni, la loro spontaneità o la loro calcolata esternazione, il loro ruolo nelle traiettorie individuali nelle relazioni interpersonali.
Nel gennaio 2016 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pianto in pubblico. Sottolineando l’intreccio di forza e debolezza, la stampa si è interrogata: «Obama ha reso accettabile il fatto di piangere in pubblico?» In realtà la novità è meno importante di ciò che lascia intravedere: un’attenzione collettiva verso le lacrime. Il dato che forse colpisce di più è che tale attenzione nasce da una dimenticanza. Le lacrime un tempo erano frequenti, tanto in pubblico quanto in privato. Nella Roma antica fornivano un ausilio imprescindibile al politico, erano l’arma preferita degli oratori e il mezzo con cui distinguersi dal volgo. Contribuivano anche a veicolare i presagi riguardanti la città. Le lacrime, insomma, scorrevano abbondanti tra i romani. Gli imperatori, il popolo, i senatori, i soldati piangono. I dibattiti pubblici, i processi, le ambasciate, tutto è pretesto per riversare emozioni. Più dei greci, che già piangevano abbastanza, i romani hanno la lacrima facile. Essi vengono spesso dipinti come conquistatori spietati (e lo erano). Ma se ne mostrano troppo poco i momenti di fragilità. Così la (cattiva) reputazione dei romani ha scoraggiato finora qualunque ricerca generale sulle lacrime, mentre i lamenti degli eroi greci hanno fatto versare fiumi d’inchiostro. In questa storia della forza romana al rovescio bisogna accettare di non riconoscersi, di rimanere spaesati. I comportamenti sociali dei romani, tanto spesso punteggiati di lacrime, ci disorientano. Ma fare un passo di lato permette di vedere più chiaro.
Tesi di fondo di questo libro è che nell’antica Roma il pianto è alquanto diffuso e accompagna gli avvenimenti della vita pubblica e privata. Si tratta di esercitare un potere politico e simbolico: per aumentare la loro autorità, senatori, imperatori e brillanti condottieri non esitano a versare lacrime. Esse vengono usate nelle più svariate situazioni: per esprimere la sofferenza del lutto, la volontà di espiazione quando oscuri presagi appaiono minacciosi, la paura di un’esclusione sociale per cui si invoca la tradizione della propria famiglia; per manifestare la propria grandezza d’animo davanti agli sconfitti. L’autrice si sofferma poi sul messaggio politico che le lacrime diffondono, sul momento calibrato in cui compaiono. Esamina con cura testi e tradizioni, sconfessando l’immagine monolitica dei romani come un popolo duro e crudele. Il tema del libro ha un interesse generale, in un momento in cui si recupera lo studio delle emozioni, la loro spontaneità o la loro calcolata esternazione, il loro ruolo nelle traiettorie individuali nelle relazioni interpersonali.
Nel gennaio 2016 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pianto in pubblico. Sottolineando l’intreccio di forza e debolezza, la stampa si è interrogata: «Obama ha reso accettabile il fatto di piangere in pubblico?» In realtà la novità è meno importante di ciò che lascia intravedere: un’attenzione collettiva verso le lacrime. Il dato che forse colpisce di più è che tale attenzione nasce da una dimenticanza. Le lacrime un tempo erano frequenti, tanto in pubblico quanto in privato. Nella Roma antica fornivano un ausilio imprescindibile al politico, erano l’arma preferita degli oratori e il mezzo con cui distinguersi dal volgo. Contribuivano anche a veicolare i presagi riguardanti la città. Le lacrime, insomma, scorrevano abbondanti tra i romani. Gli imperatori, il popolo, i senatori, i soldati piangono. I dibattiti pubblici, i processi, le ambasciate, tutto è pretesto per riversare emozioni. Più dei greci, che già piangevano abbastanza, i romani hanno la lacrima facile. Essi vengono spesso dipinti come conquistatori spietati (e lo erano). Ma se ne mostrano troppo poco i momenti di fragilità. Così la (cattiva) reputazione dei romani ha scoraggiato finora qualunque ricerca generale sulle lacrime, mentre i lamenti degli eroi greci hanno fatto versare fiumi d’inchiostro. In questa storia della forza romana al rovescio bisogna accettare di non riconoscersi, di rimanere spaesati. I comportamenti sociali dei romani, tanto spesso punteggiati di lacrime, ci disorientano. Ma fare un passo di lato permette di vedere più chiaro.