Nulla infastidiva Mordecai Richler quanto le ortodossie vecchie e nuove e i vari tipi di intolleranza da esse generate. E furono proprio gli anni trasgressivi della Swinging London a ispirargli, durante il suo lungo soggiorno in Inghilterra, questo romanzo, uno sberleffo così audace e irriverente da essere subito messo all'indice in numerosi paesi di lingua inglese. A doversi districare fra i meandri della 'controcultura' è Mortimer Griffin, che lavora in una sofisticata casa editrice, ha una vita familiare convenzionale e l'imperdonabile colpa di essere bello e wasp. Dopo l'acquisizione della Oriole Press da parte di un potentissimo e stravagante produttore hollywoodiano chiamato da tutti il Creatore di Stelle, il quale ha un solo vero scopo nella vita, la propria immortalità, Mortimer finisce in un labirinto dove fatichiamo a distinguere la farsa dalla satira e dall'horror. Tormentato dallo sguaiato tradimento della moglie con il laido amico Ziggy, perseguitato da un giornalista che lo accusa di essere un ipocrita ebreo rinnegato, scandalizzato dalla scuola all'avanguardia dove il figlio di otto anni recita Sade per poter liberare la sua sessualità, concupito da due colleghe più simili ad androidi che a donne vere, accusato via via di perbenismo, moralismo, razzismo, antisemitismo, mollezza e meschinità e sempre più insicuro delle sue prestazioni virili, Mortimer si ritrova protagonista di una tragicommedia dell'assurdo dall'esito di paradossale crudeltà.
All'inizio di questo romanzo Duddy Kravitz ha 15 anni, ma si rade due volte al giorno nella speranza di farsi crescere il più in fretta possibile la barba. La sua vita non è facile, nel ghetto ebraico di Montreal, e la profezia del nonno ("un uomo senza terra non è nulla") incombe sul suo futuro come una condanna. O un invito a non arretrare di fronte a nulla pur di raggiungere lo scopo. Ed è in questo senso che Duddy la interpreta, costruendosi passo dopo passo una carriera di cialtrone, bugiardo, baro, libertino - in altre parole di sognatore professionista, visto che il suo ultimo approdo, che gli garantirà denaro e gloria, sarà il cinema.
Chi ha di Mordecai Richler l'immagine di un narratore irresistibile e torrenziale (irresistibile anche perché torrenziale) deve metterla da parte. Da vero epigono di razza del cabaret yiddish, Richler sapeva perfettamente come allestire un one man show, cioè come scrivere e interpretare un breve monologo che sotto l'ombrello di una comicità viscerale e inarginabile disegnasse, attraverso le vicissitudini e i tic di un personaggio, tutto un mondo. Non è dunque un caso che nel 1969, a metà circa della sua carriera, abbia deciso di prendersi una vacanza, e raccontare daccapo le storie del suo quartiere a Montreal, solo in una forma più diretta e confidenziale, lasciando cioè che si sovrapponessero e si intrecciassero così come, in apparenza, gli venivano in mente. Ecco perché in queste pagine si mischiano, con la massima libertà possibile, una disamina delle catastrofiche ripercussioni di un pezzo di "Time" sulla vita quotidiana di St. Urbain Street, una divagazione sull'uso "privato" delle cabine telefoniche pubbliche e un manualetto sul sesso redatto da un cultore della materia assai vicino a molti lettori: Duddy Kravitz. Per capire di chi è questo libro, e cosa offra, basterebbe insomma aprirlo a caso, senza neppure guardare la copertina.
Il racconto abbraccia due secoli, due sponde dell'Atlantico e cinque generazioni di una dinastia ebraica in cui tutto è smisurato: vitalità, ricchezza, lusso, inclinazione al piacere in ogni sua forma. Ma nessuna grande famiglia è senza macchia, e la macchia dei Gursky si chiama Solomon, rampollo in disgrazia che pare essere stato presente, come Zelig più o meno negli stessi anni, in tutti i momenti cruciali del ventesimo secolo - la Lunga Marcia, l'ultima telefonata di Marilyn, le deposizioni del Watergate, il raid di Entebbe. Solomon rimarrebbe tuttavia un mistero, se della sua fenomenale parabola non decidesse di occuparsi il più improbabile dei biografi, Moses Berger, ex ragazzo prodigio rovinato dal rancore e dall'alcol.
All'inizio di questo romanzo Duddy Kravitz ha 15 anni, ma si rade due volte al giorno nella speranza di farsi crescere il più in fretta possibile la barba. La sua vita non è facile, nel ghetto ebraico di Montreal, e la profezia del nonno ("un uomo senza terra non è nulla") incombe sul suo futuro come una condanna. O un invito a non arretrare di fronte a nulla pur di raggiungere lo scopo. Ed è in questo senso che Duddy la interpreta, costruendosi passo dopo passo una carriera di cialtrone, bugiardo, baro, libertino - in altre parole di sognatore professionista, visto che il suo ultimo approdo, che gli garantirà denaro e gloria, sarà il cinema.
Approdato a una tarda, linguacciuta, rissosa età, Barney Panofsky impugna la penna per difendersi dall'accusa di omicidio, e da altre calunnie non meno incresciose, diffuse dal suo arcinemico Terry McIver. Così, fra quattro dita di whisky e una boccata di Montecristo, Barney ripercorre la vita allegramente dissipata e profondamente scorretta che dal quartiere ebraico di Montreal lo ha portato nella Parigi dei primi anni Cinquanta e poi di nuovo in Canada, a trasformare le idee rastrellate nella giovinezza in "sitcom" decisamente popolari e altrettanto redditizie.
Jacob Due-Due è cresciuto. Il bambino che dice sempre tutto due volte perchè la prima non lo sente mai nessuno adesso ha "due per due per due anni". Ha cambiato scuola, casa e persino continente e ha un nuovo amico, molto particolare. Quando la sua vita sarà in pericolo, toccherà proprio a Jacob Due-Due difenderlo e far sì che giunga sano e salvo alla sua meta... Età di lettura: da 6 anni.
Il racconto abbraccia due secoli, due sponde dell'Atlantico e cinque generazioni di una dinastia ebraica in cui tutto è smisurato: vitalità, ricchezza, lusso, inclinazione al piacere in ogni sua forma. Ma nessuna grande famiglia è senza macchia, e la macchia dei Gursky si chiama Solomon, rampollo in disgrazia che pare essere stato presente, come Zelig più o meno negli stessi anni, in tutti i momenti cruciali del ventesimo secolo - la Lunga Marcia, l'ultima telefonata di Marilyn, le deposizioni del Watergate, il raid di Entebbe. Solomon rimarrebbe tuttavia un mistero, se della sua fenomenale parabola non decidesse di occuparsi il più improbabile dei biografi, Moses Berger, ex ragazzo prodigio rovinato dal rancore e dall'alcol.
Questa è la storia di un bambino che ha due più due più due anni, e dice sempre ogni cosa due volte, perché con tutta la gente che abita a casa sua, due genitori, due fratelli e due sorelle grandi, la prima volta non lo sente mai nessuno. Direttamente dalla penna di papà Mordecai, la prima puntata di un lungo racconto sulla famiglia più disordinata, più rumorosa e più buffa del mondo. Età di lettura: da 6 anni.
Questo libro è il romanzo, intessuto di ricordi, rimpianti, incontri casuali, telefonate nella notte, dolorose rivelazioni, di una giovinezza e delle amicizie perdute. Il piccolo Mordecai Richler di sabato non poteva accendere o spegnere la luce, rispondere al telefono o ascoltare la radio. Nei giorni che precedevano lo Yom Kippur faceva roteare una gallina sopra la testa per scaricare sull'animale terrorizzato tutti i peccati dell'anno trascorso. A tredici anni, quando ormai è diventato un "apikoros", un miscredente, si converte alla fede laica, socialista e sionista degli Habonim, ansiosi di approdare quanto prima in Palestina e fondarvi uno stato ebraico. Alla fine Richler non emigrerà nella Terra Promessa. La visiterà due volte.